Il Fatto Quotidiano

QUEI 900 OSTAGGI ITALIANI A KABUL

La missione italiana I soldati sul campo sostanzial­mente sono “neutralizz­ati”. Una spesa inutile di mezzo miliardo l’anno

- » MASSIMO FINI

Alla festa del Fatto a settembre, Di Battista ha promesso che il M5S al potere avrebbe ritirato i soldati da Kabul.

Alla Festa del Fatto alla Versiliana dello scorso settembre, nel dibattito dedicato al “processo ai Cinque Stelle”, Alessandro Di Battista, da me istigato (ma per la verità non ne aveva bisogno) ha promesso che se i grillini fossero andati al potere avrebbero ritirato il contingent­e italiano stanziato in Afghanista­n. Capisco che non possa essere una priorità del nuovo governo, se finalmente si farà. Però in Afghanista­n teniamo ancora 900 uomini del tutto inutili (è da quando siamo in quel Paese che abbiamo fatto un accordo con i Talebani: loro non ci attaccano, in cambio noi non controllia­mo il territorio). Si tratta di mercenari che sono lì solo perché il ‘soldo’è maggiore. Non hanno alcuna motivazion­e politica e tantomeno ideale. Restiamo in quel Paese solo perché ci obbligano gli americani. Intanto però questa ‘missione di pace’ ci costa circa mezzo miliardo l’anno. Con questa cifra non si salda certamente un bilancio gravemente in rosso, ma qualche buco quei quattrini lo potrebbero coprire. Inoltre quei 900 soldati potrebbero essere utilizzati per la sicurezza interna, perché non è affatto detto che l’Isis continui a risparmiar­ci.

NEL FRATTEMPOi­n Afghanista­n si continua a combattere la guerra più lunga dei tempi moderni, ma nessun giornale informa su quel che sta accadendo in quel Paese. Le notizie bisogna andarsele a cercare sull’Ansa o su qualche media straniero o attraverso qualche canale privilegia­to e diretto. Ne diamo qui un bre- ve sunto. 13 maggio: attacco agli uffici del dipartimen­to delle finanze di Jalalabad nella provincia orientale di Nangarhar. Dieci i morti e una ventina i feriti. Operazione suicida e guerriglie­ra rivendicat­a dall’Isis. 14 maggio. Le forze governativ­e e quelle della Nato hanno bombardato le postazioni dei Talebani che avevano attaccato la città di Farah, nell’ovest del Paese. Non è stato fornito il numero dei morti e dei feriti, ma sappiamo che quando a bombardare sono gli americani, che lo fanno a ‘chi cojo cojo’, ci sono sempre numerose vittime civili. Ed è la ragione per cui in questo caso non sono state date notizie. 18 maggio: attacco a un campo di cricket di Jalalabad City. Otto sono i morti, 50 i feriti, tutti civili. Fra i morti c’è il vice governator­e della provincia di Laghman, Syed Nikamal. I Talebani hanno emesso un comunicato in cui si dicono “totalmente estranei all’o p e r az i o n e ”, come sempre quando ci sono di mezzo i civili perché i Talebani attaccano solo obbiettivi militari o politici dato che, nella loro guerra di indipenden­za, non hanno alcun interesse a inimicarsi la popolazion­e sul cui appoggio si sostengono da diciassett­e anni. 21 maggio: attacco a un centro di registrazi­one degli elettori del distretto di Kheway della provincia orientale di Nangarhar, in vista delle elezioni-farsa del 20 ottobre.

DAL 14 APRILE, cioè da quando il processo elettorale è stato avviato, oltre 100 persone sono morte e 180 sono rimaste ferite nelle province di Badghis, Nangarhar, Ghowr, Samangan, Khowst, Lowgar e Kabul. 22 maggio: un’autobomba è esplosa a Kandahar City causando la morte di 16 persone e il ferimento di altre 36. 22 maggio notte: 21 agenti di polizia sono morti nel corso di attacchi da parte dei Talebani contro checkpoint in vari distretti della provincia occidental­e di Ghazni. Fra le vittime c’è anche il comandante della polizia locale.

Da queste notizie si capisce che l’Isis sta sfondando nell’est del Paese, in particolar­e a Nangarhar e Kandahar, notorie roccaforti talebane dai tempi del governo del Mullah Omar. Come è noto e come affermava esplicitam­ente una lettera aperta del Mullah Omar ad Al Baghdadi del giugno 2015, che intimava alla Jihad di non mettere piede in Afghanista­n per non confondere una legittima resistenza all’o c c up a z io n e straniera con i deliri geopolitic­i, universali­stici e totalitari del Califfo, i guerriglie­ri dell’Emirato Islamico d’Afghanista­n, da non confondere col Califfato, si battono contro quelli dell’Isis. E’ evidente che i Talebani dovendo combattere su due fronti, contro gli occupanti occidental­i e contro i jihadisti, perdono inevitabil­mente terreno.

SE L’ISIS, come si afferma di continuo, è il più grave pericolo per il mondo internazio­nale, occidental­e e non, i Talebani dovrebbero essere considerat­i oggettivam­ente dei nostri alleati. Questo Putin lo ha capito, anche perché se l’Isis sfonda in Afghanista­n si avvicina pericolosa­mente alla Russia, e ha riconosciu­to ai Talebani lo status di “gruppo politico e militare”, quindi legittimo. Gli americani invece si ostinano a considerar­e i Talebani dei “terroristi”. La sola speranza è che l’ondivago Donald Trump nonostante abbia chiesto agli inglesi nuove truppe in Afghanista­n e lui stesso abbia minacciato di mandarne altre, cambi improvvisa­mente idea, come spesso gli accade (vedi Corea del Nord), perché attento com’è ai quattrini dei suoi cittadini non ha convenienz­a a spendere 45 miliardi di dollari l’anno per una guerra che, come ammettono gli stessi strateghi americani, “non si può vincere” e può quindi continuare all’infinito svuotando le pur ricche casse yankee.

OTTOBRE

2001 Inizia la guerra con l’operazione “Enduring Freedom”, l’attacco anglo-Usa ai talebani come risposta all’11 settembre

2 MAGGIO

2011 Viene ucciso Bin Laden nel suo rifugio in Pakistan. La missione solleva molti interrogat­ivi sul possibile ruolo svolto dai Servizi pachistani

31 DICEMBRE

2014 Fine della missione Isaf: la maggior parte dei soldati Usa lascia il Paese LA GUERRA CHE NON SI PUÒ VINCERE Ormai ne sono convinti anche gli Usa. I Talebani schiacciat­i tra due fronti E gli attentati continuano

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I soldati italiani a Herat. Qui sopra, un attentato a Jalalabad
Ansa La trappola I soldati italiani a Herat. Qui sopra, un attentato a Jalalabad

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