Il Fatto Quotidiano

Camilleri-Tiresia, il cieco che vede il nostro assoluto

SIRACUSA Lo scrittore al Teatro Greco con le “Conversazi­oni”: “Vederci distrae dal pensiero, immerso nella nebbia metto in conto la malinconia. Non vedo l’ora di andare a dormire, perché la notte io vedo”

- » PIETRANGEL­O BUTTAFUOCO

Andrea Camilleri non ci vede ma si mette in tasca gli acciacchi dei suoi 93 anni e se ne parte da Roma per arrivare a Siracusa.

Prende possesso del Teatro Greco e solo una cosa si merita: un grazie con inchino, tanto è maestosa la sua messa in opera, Conversazi­one su Tiresia. Un suo testo originale scritto apposta per la stagione dell’Inda, regia di Roberto Andò, a cura di Valentina Alferj.

Con lui in scena e con la musica di Roberto Fabbrician­i, in un mirabile monologo – lunedì 11 giugno.

Lui non è solo uno, nessuno e centomila.

CAMILLERI è il remoto segreto di uno nel mistero sgargiante di un altro uno: “Come tutti, come spiegava Luigi Pirandello, io sono bipolare”.

Così sentenzia soffiando sul mantice della sua granosa e sazia voce. Sorride quindi, e prosegue: “Ma per fortuna questo mio mestiere mi consente di cavarmela, e di salvarmi – seppure vigliaccam­ente – manipoland­o l’esistenza quotidiana con la letteratur­a dove persona e personaggi­o sono perfetti complici, giammai infidi tra di loro”.

Ne Il metodo Catalanott­i, il suo ultimo romanzo, da tre giorni in libreria, c’è il commissari­o Montalbano alle prese con un omicidio dove non si capisce se con la vittima “è ucciso l’artista oppure l’usuraio”, dove non si capisce se il commissari­o è più interessat­o alla vita o alla morte di Catalanott­i, dove l’autore inizia di certo a lasciare le tracce del suo allontanar­si dal commissari­o.

SE FINO A OGGI abbiamo visto e letto tutto con gli occhi di Montalbano in questo libro, giusto a offrire un ulteriore livello, bipolare, il lettore esce dalla ripresa in soggettiva propria della distanza passiva per immedesima­rsi come in un incastro di Escher a doppio esito: “Teatrale, certo; nel metodo; e nelle conseguenz­e”.

E non sarà certo un caso se anche il titolo è senza “genitivo”, – senza “La Forma del…”, o“La Giostra degli…”, “Il Ladro di…” – Camilleri alza il tiro della scrittura e si avvicina al titolo ultimo, al romanzo che chiude la serieRicca­rdino, solo il “nominativo”.

Non è certo un “genere”, è letteratur­a. E Camilleri s’adopera in certe pagine – stampate in corsivo – Tutto è teatro: “Le parole lavorate dalla musica”. Rifiuta l’appellativ­o di Maestro e chiede piuttosto il Voscenza, “che s i gn i f ic a ” – na t u ra l m en t e scherza Camilleri – “vostra scienza!”.

LA RAPPRESENT­AZIONE impegna la lettura e così anche l’ascolto: “Una ragazza dal doppio sesso – un’ermafrodit­a – è messa incinta da una suora, partorisce una bambina…”.

È un cunto, da cui si dipanano tutti i cunti. Fa Tiresia, il profeta orbo, e allora si capisce chi è davvero lui: è uno che dà del tu all’assoluto nel luogo proprio dell’assoluto orale.

Pronto a qualunque cosa, Camilleri – a far le prove, a tenere la memoria, a recitare infine –e così svegliare alla bellezza dell’Ellade universale: il suo è il Tiresia della verità più sfacciata, è il racconto del vecchio che tutto ha visto, e tutto può raccontare, grazie alla chiarezza della cecità: “Vederci distrae dal pensiero, immerso nella mia nebbia ho messo in conto la mia malinconia: non vedere più le donne, le tele che ho amato, non goderne, è un pegno esagerato; mi sforzo sempre nel fabbricarm­i in testa la Flagellazi­onedi Piero della Francesca, ricostruir­e mentalment­e i personaggi, la luce e i contrasti...”.

La malinconia ha la sua coda nascosta nell’es ist en za parallela: “Non vedo l’ora di andare a dormire, io, perché appunto la notte io vedo; subito sogno e i miei sogni hanno colori ancora più vivi, sono accesi, intensi; e sono bandoli da cui si riavvolgon­o storie; è l’altro polo dell’esistenza, il sogno…”.

La luce, e il buio. La terra, e il mare. L’uomo e la donna. In un dettaglio Camilleri ha la sua “trovatura” per riavvolger­e le storie. Ed è come nell’eterno “asserpenta­rsi” di uno dentro un altro uno.

Catalanott­i, dunque. E Tiresia. I due canoni dello smarriment­o bipolare.

E la storia che si tramanda è questa: “Tiresia che ha avuto modo di essere donna e poi uomo, prova tutti i piaceri e Zeus che sta litigando con Era, chiede a lui chi se la gode di più, il maschio o la femmina? Il piacere si compone di dieci parti, risponde Tiresia, l’uomo ne prova solo una e la donna nove. Mal gliene incoglie. Era lo fa cieco e certamente”, così se la pensa Camilleri, “perché mai, nei trecento anni di amplesso con Zeus, li aveva provati questi piaceri”.

LUCIDO, ARRIVA dove nessuno c’è. Scorge “ciò che c’è davanti, a noi, al nostro tempo che pure ha posto tre fondamenti d’i n eq ui vo c ab il e segno –l’Atomica, Internet e la minigonna di Mary Quant –su cui non basta registrarn­e l’invenzione ma la loro evoluzione a dispetto dell’avanzare del sempre di meno, della prevalenza del pressappoc­o”.

Lui non parla di Tiresia come se lo fosse, lo è.

L’11 giugno La messinscen­a è un suo testo originale scritto per la stagione dell’Inda. Da pochi giorni in libreria anche l’ultimo romanzo, “Il metodo Catalanott­i”

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LaPresse L’indovino Andrea Camilleri scrive e recita ancora a 93 anni
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Il metodo Catalanott­i Andrea Camilleri Pagine: 304 Prezzo: 14 Editore: Sellerio

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