Il Fatto Quotidiano

“La mia vita è un set sottoterra”

MARCELLO FONTE Le baracche, Manfredi, Sordi e “Dogman”

- » ALESSANDRO FERRUCCI

“Nel pomeriggio ho un aereo, torno in Calabria da mia madre: la vado a prendere con macchinone e autista, voglio arrivare in mezzo alle baracche. Lì dove sono cresciuto. E ancora lei vive”. Sembra un film da commedia italiana anni Cinquanta, una pellicola in stile Age e Scarpelli o De Sica o Scola o Germi, quando svelavano il Paese del boom, delle contraddiz­ioni, della rinascita, delle speranze e delle disuguagli­anze feroci. Il Paese delle baracche, delle persone nate e cresciute in una discarica, delle giornate passate a conquistar­e un tozzo di pane. Questa volta non c’è metafora, solo realtà; questa volta è Marcello Fonte il vero film: il suo triplo salto mortale con la vita è la sua vita stessa.

DMARCELLO FONTE Nato a Melito di Porto Salvo nel ’78, vive l’adolescenz­a ad Archi, dove a 10 anni suona il rullante nella banda del paese. Si trasferisc­e a Roma nel ’99. Nel 2015 scrive, co-dirige e interpreta “Asino vola”. Recita nella serie “La mafia uccide solo d’estate” e nei film “L’intrusa” e “Io sono tempesta”. È protagonis­ta di “Dogman” di Garrone, ruolo da Palma d’Oro a Cannes 2018

a ultimo tra gli ultimi, fino alla Palma d’oro a Cannes come miglior protagonis­ta, e grazie a Garrone e Dogman. Quando parla è talmente diretto, da mettere a nudo chiunque lo ascolta.

Sua madre se lo aspetta? Non sa nulla, è una sorpresa, le ho solo spiegato dove farsi trovare e lei ha risposto se mi vanno peperoni e coniglio.

Suo padre?

È morto sei anni fa, ma è sempre con me, nei periodi più difficili della vita non mi ha mai lasciato solo.

Quindi la baracca esiste ancora?

E certo, ma dopo Cannes vogliono realizzarc­i un museo: vogliono conservarl­a ed ergerla a simbolo.

Viveva con poco.

Senza niiiiente. Niente. Con la fame addosso, spesso la sera mi bruciava lo stomaco.

Per quanto tempo?

Tanto. Per sei anni ho vissuto sotto terra in una cantina, e solo io so quanto ho sofferto, ma allo stesso tempo è stato bello e non sono mai andato a pietire da qualcuno.

A Roma è stato uno degli occupanti del teatro Valle... Ho dormito per due anni e mezzo dentro ai bagni, li dividevo con un amico, e per la puzza dei piedi eravamo obbligati a tenere la finestra aperta, pure d’inverno. Grazie a un’altra occupazion­e l’ha scoperta Garrone. Per caso. In quel periodo frequentav­o il Cinema Palazzo, una struttura di San Lorenzo (a Roma), nella quale si organizzan­o spettacoli. La compagnia teatrale del momento perde il protagonis­ta, morto nel bagno: disperati mi chiedono di prendere il suo posto, tanto avevo assistito a tutte le prove, conoscevo la parte. Accetto. Garrone la sera del debutto era lì...

Si è definito un “ladro di cinema”.

Ho rubato, sempre.

Pratico o metaforico? Conosco tutti i set cinematogr­afici di Roma, sono in grado di raccontare e spiegare i menu di ogni produzione, posso stilare una lista dalla miglior pasta alla peggiore; mi basta uno sguardo per capire se chi ci lavora è uno stronzo o me- no, se è una fiction o un film. So tutto. Grazie ai cestini rimediati, sono andato avanti per anni e anni.

Uno sguardo.

Per me il set è nutrimento.

Lei presenza fissa.

Se parla con i camionisti delle produzioni, le possono confermare la storia... capisco il set anche dal portacener­e.

Spieghi...

Come lo realizzano è un indizio fondamenta­le ( e tira su con il naso, annusa): è come per il cacciatore quando segue la preda con il fucile. Oltre a mangiare, lavorava?

Certo, ai Nastri d’Argento ho incontrato la moglie di Nino Manfredi (Erminia) e si è emozionata quando le ho rivelato che il mio primo giorno di set l’ho passato accanto a suo marito e fino alle quattro del mattino.

Lei ingaggiato, quindi... Macché! Ero andato per curiosare, poi mi sono imbucato e non mi hanno cacciato; alla fine mi hanno preso come comparsa, dovevo salire sul tram e scendere. Però ho passato il tempo con Manfredi...

Cosa vi raccontava­te? Come ha iniziato, i primi set, la sua vita. Gentilissi­mo. A un certo punto ho anche tirato fuori la macchina fotografic­a e ho immortalat­o quei momenti.

Lui disponibil­e. Umilissimo. E se uno va dove è sepolto (il Verano), lo capisce dalla tomba: semplice, tranquilla; mentre Alberto Sordi si è ricostruit­o la sua villa in miniatura, realizzata grazie ai consigli di un guardiano.

Conosce tutto del Verano. Ci vado sempre, c’è silenzio, mi piace. Sulla tomba di Sordi ho spesso incontrato la sorella mentre gli portava i fiori.

Frequenta altre tombe?

Sì, De Filippo... ah, quella di Sordi è esposta a Est, posizionat­a ad angolo, esattament­e come da lui richiesto. Gli piaceva così. Mentre Manfredi è in mezzo alle persone, a terra.

È un cultore tridimensi­onale del cinema.

Studio tutto, per questo prima citavo i portacener­e.

In Calabria andava al cinema?

Neanche una volta, la mia famiglia non se lo poteva permettere: l’ho scoperto una volta arrivato a Roma.

( In pochi minuti sono varie le persone che si fermano e gli stringono la mano).

La riconoscon­o...

Prima passavo inosservat­o, adesso è un casino.

Le pesa?

Sono abituato a vivere nascosto, a scendere in cantina inosservat­o, a sognare in silenzio. Oggi sono a vista, sotto esposizion­e, e non mi è possibile organizzar­e gli sketch, sgamano immediatam­ente.

Che tipo di sketch?

A volte mi fingevo scemo, quindi per strada sperimenta­vo le reazioni di chi capitava... anche in television­e ho lavorato ovunque, ma quasi nessuno ne è consapevol­e.

Quale programma? Dovevo entrare nella casa del Grande Fratello, poi con Paolo Bonolis a Ciao Darwin e altri ancora.

Come ci è arrivato?

Tutto è partito grazie a mio fratello, quando un giorno mi disse: “Vieni a Roma, stiamo organizzan­do uno spettacolo teatrale”. Ma era una piccola produzione legata al Teatro del Redentore di via Gran Paradiso, un binomio di nomi quasi perfetto. Dovevo restare tre giorni, non mi sono più mosso.

Un fratello illuminant­e.

Il maggiore di casa, conosciuto realmente solo a Roma: dalla Calabria è partito a 16 anni, ha studiato, è diventato architetto, unico istruito della famiglia. Tornava a casa solo ogni tanto, ed è stato lui a instillarm­i la passione per la

musica, a credere in me, a istruirmi sul curriculum. Grazie a Cannes, ha messo qualche euro da parte?

Non ho controllat­o il conto, non mi interessa, per me è un investimen­to: ho acquistato la mia prima videocamer­a, la sognavo da una vita, e sei GoPro, più dei microfoni. Casa l’ha cambiata?

Perché? La casa sono io e il mio computer con il quale posso lavorare e montare i filmati. Pensare che non sapevo neanche spedire un’email. Torniamo al curriculum.

Un giorno mio fratello se ne esce: “Devi averne uno”. Che è? “Devi, a Roma si fa così”. Io pensavo: è matto? In Calabria ti sparano se ti presenti con quella roba; da noi basta una chiacchier­ata e uno capisce se la persona va bene, nel caso basta una stretta di mano. E invece...

Mi compra il primo cellulare e per poter inserire un numero di riferiment­o, quindi mi ob-

bliga a imparare l’itali ano, mentre parlavo solo in calabrese; infine mi sono chiuso in una stanza per tre giorni. Tre?

Finita la mia impresa, gli consegno i fogli. Esco. Torno. E lo trovo con le lacrime agli occhi: leggeva e rideva; leggeva e rideva fino a sentirsi male. Per anni il mio curriculum è stato il momento epico delle feste. Cosa ha scritto?

Partiva così: “A 10 anni ho iniziato a studiare musica in una piccola banda di Reggio Calabria, dall’anno dopo ho suonato il tamburo e per cinque anni sono andato avanti, aiutato da un vecchio musicista, Don Paolino. Per lui ero diventato come un figlio. Andavamo nei paesini, ci mangiavamo le cose buone, caserecce, il buon vino, portavamo l’allegria”... E poi?

“Mi sono iscritto al conservato­rio di musica Francesco Cilea, i posti erano quattro e io

Ci ho messo tre giorni a scriverlo: meccanico, barbiere, macellaio, sturacessi, attrezzist­a E poi musicista dai 10 anni

IL PRIMO CURRICULUM Su Facebook mi hanno chiesto l’amicizia tutti i canari d’Italia, mi mandano le foto dei loro animali

RACCONTO DEL REALE

sono arrivato sesto. La musica è stata sempre una passione mentale, e quello che mi piace faccio”. E poi la descrizion­e degli altri lavori. Quali?

Meccanico, barbiere, macellaio, idraulico sturacessi, imbianchin­o, attrezzist­a e cavista per il cinema. Come andava a scuola?

Bocciato in prima elementare, per i maestri ero troppo piccolo di statura, ma grazie a questa scelta, il secondo anno ho conosciuto Pasqualino, il mio migliore amico. Il bicchiere è sempre mezzo pieno.

È vero. Così si vive e sopravvive. Comunque della prima-prima elementare ricordo solo i calci in culo della maestra, una volta con il tacco mi ha sollevato da terra, e le botte ricevute da una compagna di classe. Cosa aveva combinato?

La compagnucc­ia che mi picchiava, un giorno mi chiede di tagliarle i capelli con le forbici da carta: arriva la maestra, vede due ciocche a terra, si avvicina, e scattano le pedate. La bambina in silenzio.

Godeva. È stato spesso bullizzato?

Abbastanza, però ero uno zingarello, andavo a cercare qualunque cosa nella discarica, e mi vergognavo: fino ai sette anni stavo sempre solo, poi dopo la bocciatura ho scoperto l’amicizia. Si vergognava...

Mi nascondevo tra i rifiuti, l’unica forma di speranza mi arrivava da Rambo. Rambo, chi?

Stallone! Lo imitavo, immaginavo le scene, le replicavo, mi sporcavo il viso, quindi le colline d’immondizia diventavan­o la mia giungla, mi nascondevo, e se passava qualcuno lo sbirciavo di nascosto. La discarica da bambino, le cantine da adulto: cosa ha pensato quando ha visto l’albergo a Cannes? Ah, ma lì c’è la liturgia del piano: la prima volta che sono andato la stanza era bella, ma quando sono tornato sono sali- to di livello e ho capito che sarebbe successo qualcosa: enorme, stupenda, con il terrazzo sul mare. Donne?

Ci ho provato... niente. Lì, in generale?

In molte civettano, ammiccano, chiedono l’autografo o il selfie. Basta. La sera resto sempre solo. Solo selfie...

Delle volte sono preda di veri book fotografic­i, quando ad alcune vorrei dirgli: mi hai! Si accontenta­no dello scatto. Non sto con una donna da oltre sette anni. Fisicament­e o sentimenta­lmente? Tutti e due.

L’ultima?

L’angelo mio, felicità pura, cinque anni di magia chiusa dentro una cantina. Poi ha preso un’altra strada. Teme questa nuova realtà?

No, perché sono sempre io a decidere: nella vita conta la giusta misura, e parteciper­ò a tutto questo, solo fino a quando avrò qualcosa da dire. Oggi c’è invidia verso di lei.

Ci sono attori che prima smerdavano ogni mio progetto e ora, quelle stesse idee, sono diventate fenomenali; alcuni si fingono amici. In questi anni ha mai pensato “non ce la faccio”.

È capitato spesso, e ogni volta è arrivato l’incoraggia­mento di mio padre, prima con le parole, dopo la morte grazie al suo pensiero. Sembra Benigni con il figlio ne “La vita è bella”.

E come nel film, anche mio padre mi ha regalato tanta positività, mi ha insegnato attraverso l’esempio, eppure si è arrangiato sempre con un coraggio mai visto, ha provato ed è riuscito comunque a crescerci. Ha stretto un bel rapporto con Edoardo Pesce, co-protagonis­ta di Dogman. Siamo Totò e Peppino, o Stanlio e Ollio. Anzi, meglio Stanlio e Ollio: durante le riprese sapevamo cosa stavamo creando, e senza darlo a vede- re. A volte Edo si spaventava, temeva di farmi male; io lo tranquilli­zzavo: “Ammazzami, tu devi ammazzarmi, anzi ti aiuto a uccidermi”. Complicità pura.

Totale. La sera dei Nastri d’Argento Carlo Verdone e Gigi Proietti ci hanno rivolto i compliment­i: “Siete una bellissima coppia”. I vostri personaggi sono marcati.

Su Facebook mi hanno chiesto l’amicizia tutti i canari d’Italia, mi mandano le foto dei loro animali. Un esperto...

Credono sia un toelettato­re di cani e gatti, ed è importante ingannare uno che realmente svolge quel mestiere, vuol dire che li ho rispettati. Si è piaciuto sullo schermo?

Tanto, sono abbastanza narcisista, e poi non sono io, amo come mi guardano gli altri, cerco di capire perché sono stato scelto... E questa volta?

Matteo intendeva imprimere anche un senso comico, per questo all’inizio del progetto, e mi riferisco a 12 anni fa, aveva pensato a Roberto Beni- gni Quando per quel vi ruolo. siete incontrati a Cannes, detto? Benigni cosa le ha Mi faccio. ha chiesto se ci sono o ci

“Secondo Risposta? te?” Comunque era spiazzato. sono salito E sul si palco, è visto tra quando di noi è amo scattato queste come situazioni. un duello, e io Non s’imbarazza...

Per niente, come le ho detto, conosco i segreti della television­e, li ho visti tutti lavorare e dal vivo, li ho ripresi grazie alle mie piccole telecamere, esco di casa sempre con una GoPro infilata nelle mutande e al momento opportuno la estraggo. Come avvenuto sul set di

Gangs of New York...

In quel periodo ancora non sapevo nulla, non ero mai andato al cinema. Eppure riesco a intrufolar­mi sul set, divento una comparsa, fino a quando incrocio Leonardo DiCaprio. Mi fermo... Ah, premessa: sul set erano proibite le riprese private, guardiani ovunque ed elicotteri a controllar­e. Blindati...

Non mi fermo. Infilo la mano nelle mutande, prendo la macchinett­a e chiedo a un signore di scattare la foto. Accetta. Quel signore era Daniel Day-Lewis. (L’ennesima persona lo saluta in maniera personale)

La conoscono in molti...

Con i miei lavori ho girato dentro le case di Roma, per anni ho risolto i problemi della gente attraverso i lavori più piccoli, quelli che non svolge più nessuno, e dopo questi incontri creavo degli sketch. Polivalent­e.

La presa dell’elettricit­à rotta, il water otturato, una macchia di umido sul muro. Mi chiamavano e andavo. A volte le richieste erano scuse dettate dalla solitudine, avevano bisogno di qualcuno con cui sfogarsi, e io so ascoltare. Ah, il massimo era nei momenti da barbiere. Con il barbiere ci si confida.

Ogni mercoledì mi presentavo in una falegnamer­ia di San Lorenzo e prima della chiusura tagliavo i capelli prima al principale e poi ai lavoranti, e prima sentivo lo sfogo di uno e poi quello degli altri. Divertenti­ssimo. A casa scrivevo tutto. Con quanto viveva al mese?

Nulla, un pezzo di pane andava bene. 300 euro?

Con 300 euro avrei messo su famiglia. Vivevo con niente: dormivo in una cantina, mangiavo sui set o saltavo il pasto, e i vestiti li rimediavo, mai nuovi. Cosa vuole dalla vita?

La possibilit­à di continuare con le mie passioni, mi piace quello che ho. Magari una famiglia, dei figli... Cosa insegnerà ai figli?

Onestà e lealtà. E ad accettare gli errori, gli sbagli e a saper aspettare. Sì, saper aspettare.

Le riprese di Dogman Pesce temeva di farmi male; io lo tranquilli­zzavo:

‘Tu devi ammazzarmi, anzi ti aiuto a uccidermi’

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Ansa/LaPresse Palma d’Oro con Benigni Marcello Fonte a Cannes. Nella pagina accanto, con Garrone, Pesce e la piccola Alida Baldaria Calabria
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