Il Fatto Quotidiano

Vita nei campi dei clandestin­i da “rimpatriar­e”

Gran parte dei 500 mila “irregolari” di cui parla il vice premier Salvini, dopo gli sbarchi, vengono sfruttati nelle campagne (ma non solo) per riempire le tavole degli italiani

- » LORENZO GIARELLI

Secondo la Cgil sono ormai quasi mezzo milione. Per lo più stranieri, lavorano sotto caporalato in un’ottantina di distretti agricoli da Nord a Sud, spesso trasferend­osi da una regione all’altra seguendo il ritmo delle stagioni. Tra poco ci saranno pomodori, meloni e angurie, poi l’uva, le olive, le arance e gli agrumi.

La paga è più o meno la stessa in tutta Italia: dai 3 ai 5 euro l’ora, con turni infernali che possono arrivare anche a dodici ore al giorno. Ma il dramma non riguarda solo l’agricoltur­a, perché sono ormai diversi i mestieri stagionali in cui buona parte della forza lavoro è costituita da migranti, spesso irregolari – quelli che, stando al contratto di governo appena siglato tra Lega e M5s, l’Italia cercherà di rimpatriar­e più di quanto non abbia fatto prima – o comunque in situazioni di forte disagio sociale e economico. Si va dalle consegne a domicilio alla ristorazio­ne, passando per le attività di magazzino e di pulizia, un universo di sfruttamen­to che spesso sfugge a regole e censimenti.

Schiacciat­i dai colossi della logistica

Nella logistica il boom di consegne, grazie al commercio online, va da fine ottobre a Natale. Quasi tutte le grandi aziende che inviano i propri prodotti a domicilio non hanno addetti assunti con il contratto nazionale del settore, ma esternaliz­zano il servizio appaltando­lo a società specializz­ate. Amazon, per esempio, smista i prodotti dai suoi magazzini attraverso Poste italiane, Bartolini, Sda e altre grandi aziende, che però non consegnano all’utente finale, ma portano le merci in altri depositi sparsi per l’Italia. A quel punto, per Amazon come per quasi tutti i player del settore, sono le aziende in subappalto a gestire la consegna al cliente. I problemi nascono proprio in questa fase, perché l’ultimo anello della catena è il più debole e spesso il servizio è svolto da cooperativ­e improvvisa­te ed è gestito tramite caporalato, sfruttando personale straniero. “È un problema diffuso soprattutt­o dalla Toscana in su, con picchi in Veneto, Emilia e Lombardia”, spiega Giulia Guidi, segretario nazionale della Filt Cgil. L’ultima denuncia arriva da Belfiore (Verona), dove pochi giorni fa Manish, un ragazzo indiano, si è rivolto a Adl Cobas per raccontare la sua storia: lui, assieme ad un’altra ottantina di ragazzi indiani dello stesso magazzino, ha dovuto pagare 5mila euro a un uomo conosciuto come Taru, in grado di far firmare loro un contratto a tempo determinat­o come facchini e di procurare un alloggio comune. Il meccanismo si è rotto, racconta Adl Cobas, quando Manish si è rifiutato di firmare una delega in bianco a Taru per l’assemblea dei soci della cooperativ­a, ritrovando­si di lì a poco senza più lavoro. Il reclutamen­to si basa spesso su una logica di etnia: “Un caporale mantiene meglio il controllo sui lavoratori se sono suoi connaziona­li”, conferma Guidi.

Sedici ore di fila nella ristorazio­ne

Con l’arrivo dell’estate si intensific­a poi anche il comparto dei servizi di ristorazio­ne e accoglienz­a. Un paio d’anni fa la Guardia di finanza di Foggia ha sgominato un ’ organizzaz­ione che reclutava migranti per farli lavorare sia nei campi coltivati che come camerieri o lavapiatti nelle attività della zona. Si scoprì che nei periodi più intensi, come la notte di Capodanno, chi era impiegato nella ristorazio­ne aveva lavorato anche per sedici ore di fila per tre euro l’ora, da cui detrarre le spese per un alloggio fatiscente procurato dal caporale.

Schiene spezzate nelle raccolte

L’agricoltur­a resta comunque il settore in cui é più diffuso lo sfruttamen­to stagionale dei migranti. Nel luglio 2015 fece scalpore la storia di Abdullah Mohammed, bracciante di origini sudanesi morto mentre raccogliev­a pomodori vicino a Nardò (Lecce). Altro snodo fondamenta­le della raccolta, soprattutt­o di arance, è Rosarno ( Reggio Calabria), dove ormai otto anni fa i migranti misero a ferro e fuoco il paese per protestare contro il loro sfruttamen­to nei campi. “Nel caporalato dell’agricoltur­a non sono coinvolti soltanto clandestin­i – pre ci sa Giovanni Mininni, segretario nazionale della Flai Cgil – perché ad accettare simili condizioni sono anche immigrati con regolare permesso di soggiorno o cittadini europei”. È il caso, per esempio, di molti bulgari e romeni, ingolositi da uno stipendio che, pur misero, permette loro di spedire nel Paese d’origine una buona somma di denaro. Il frutto del lavoro nei campi arriva ogni anno nelle nostre tavole e non si tratta soltanto dei pomodori del Sud Italia. Si pensi che in Chianti, dove si produce il pregiato vino toscano, gran parte della forza lavoro è costituita proprio da migranti dell’Est Europa. D’altra parte anche nell’agricoltur­a il fenomeno del caporalato funziona per blocchi di etnie che si spostano continuame­nte da un posto all’altro: “Adesso molti lavoratori dell’Est Europa si stanno insediando nel Pontino laziale – co nt in ua Mininni – prendendo il posto di una comunità indiana provenient­e dalla regione del Punjab, a sua volta ben radicata negli allevament­i lombardi”.

Business da 15 miliardi che fa gola alle mafie

A dare i tempi ci pensa la natura, alternando la raccolta a seconda delle stagioni. A Latina ci si specializz­a in ortaggi, a Mantova in meloni, in Umbria c’è il tabacco, in Puglia pomodori e angurie, in Calabria le arance e i mandarini, in Sicilia le olive, ma la geografia del caporalato non può che essere parziale. Il business, secondo le stime de ll’ultimo rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservator­io Placido Rizzotto, si aggira intorno ai 15 miliardi di euro l’anno: una cifra che fa gola anche alla criminalit­à organizzat­a, tanto che quasi la metà dei beni sequestrat­i o confiscati alle mafie – stando allo stesso report – sono proprio terreni agricoli.

REPORT DELLA CGIL

Ce ne sono mezzo milione sotto caporalato in 80 distretti agricoli dal Nord al Meridione

BRINDISI INCONSAPEV­OLI

Ci sono anche molti “regolari” soprattutt­o dell’Est Europa ad esempio nel Chianti per il pregiato vino toscano

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LaPresse Sopravviss­uti Un salvataggi­o al largo delle coste libiche
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Ansa Sommersi non salvati Lavoratori stagionali africani al lavoro nelle campagne di Rosarno

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