Caputo ha ritrovato i suoi “oggetti smarriti”
Il cantautore romano pubblica inediti e rivisitazioni unplugged. Con polemica annessa
Era il 1983 e anche il Belpaese aveva trovato il suo crooner. Sergio Caputo, ex pubblicitario romano, è emerso con Un sabato italiano, un indovinato mix di pop e swing frizzante, una canzone entrata nell’immaginario collettivo e riproposta fedelmente ancora oggi nei piano bar. Il jazz è stato il suo grande amore tra alti e bassi a livello discografico. Ogge tti smarriti è il punto della sua carriera: la riproposizione in chiave u np lu gg ed di alcuni brani del passato ai quali si aggiungono tre inediti. “Meglio Così”, “Libertà dove sei”, “Rifarsi una vita”, “A bazzicare il lungomare” s on o canzoni degli anni Ottanta, conservano la stessa freschezza e lo stile diretto del cantautore, in una veste scevra del ritmo basso-batteria. Ci sono momenti nei quali sembra di ascoltare dei “demo”, dei provini non ancora messi a fuoco ed è questa la cifra stilistica dell’album, avvicinare ad un ascolto intimo senza fronzoli e senza filtri. “Scrivimi scrivimi” è l’unico brano con un gran lavoro di postproduzione e scelto come singolo. Parla dei rapporti creati ai tempi dei social, con le contraddizioni di incontri “facili” smentiti poi dal gap della tastiera: tutti leoni dietro uno schermo ma topolini dal vivo. I due altri inediti sono “Io, l’ombra e la luna” e “Via Borsieri Blues” (per inciso non è una dedica al celebre club jazz Blue Note di Milano ma alla via romana che ospitava una ex trattoria). La pubbli- cazione del disco è stata attraversata da una polemica con oggetto i network radiofonici: Caputo in una intervista a un quotidiano ha detto che le radio in Italia trasmettono i soliti brani dei soliti artisti, legate alle major discografiche.
IL GIORNO successivo Renzo Arbore ha voluto rafforzare il pensiero di Caputo affondando ancora di più il coltello: “Le radio oggi trasmettono musica omologata; è difficile ascoltare un buon prodotto originale che non risponda solo a logiche commerciali. Non ci sono più i Dj che scelgono le canzoni in totale autonomia. Lo faceva, ad esempio Gegè Telesforo, l’ultimo è stato Fiorello”.
Chiudersi in una stanza d’hotel e trovare l’ispirazione per scrivere canzoni non è un’idea granché originale. Ma, a quanto pare, di questi tempi, è così che va il mondo della musica: Father John Misty, alter egodi Joshua Tillman, dopo essersi rintanato in un albergo di New York per due mesi, con il conforto di casse di bottiglie di alcol, droghe e un cuore spezzato (dall’amata/odiata Honeybear, si vocifera l’abbia tradito), pubblica G od ’ s Favorite Customer, quarto capitolo della sua discografia da solista. Composto da 10 brani caratterizzati da un approccio intimistico e fedele a quel folk-rock cantautorale col quale si è fatto conoscere (consigliati Hangout at the Gallows, Please Don’t Die e The Songwriter), l’impressione è che il “cliente preferito di Dio” tenda all’autocommiserazione, senza tuttavia darsi per vinto da quei fantasmi interiori che qui affronta e combatte. Registrato in 2 settimane, Joshua Tillman si concentra su se stesso, dopo aver esplorato nel precedente Pure Comedyle condizioni dell’umanità intera.