Il Fatto Quotidiano

POLIZIOTTO BUONO E POLIZIOTTO CATTIVO

IL PREMIER TIENE DISCORSI EQUILIBRAT­I IN PARLAMENTO: LOTTA ALLA POVERTÀ, ALL’EVASIONE, ALLA CORRUZIONE, AI CONFLITTI D’INTERESSI. POI SALVINI COPIA MINNITI: “NIENTE APPRODI AI MIGRANTI”

- » TOMMASO RODANO

Nessuna emozione palpitante nell’eloquio del nuovo premier, nessuna sorpresa nei numeri. Giuseppe Conte ottiene la prima fiducia di fronte al Senato della Repubblica esattament­e con la cifra che si aspettava: 171 sì, 10 oltre la soglia della maggioranz­a assoluta. Sono i 167 senatori di Lega e Movimento 5 Stelle più 4 del gruppo misto (i due ex grillini Buccarella e Martelli e due eletti all’e st er o Merlo e Cario). I no sono stati invece 117, praticamen­te tutti dai banchi di Pd e Forza Italia. Gli astenuti 25: i 18 eletti di Fratelli d’Italia, il gruppo Per le Autonomie (eccetto Bressa e Casini) e alcuni dei senatori a vita (tra cui Liliana Segre).

L’IMP RESSIO NE che si ricava dal primo, lunghissim­o discorso pubblico di Giuseppe Conte – 71 minuti e 24 secondi, più altri 30 di replica – è che di Maio e Salvini abbiano piazzato a Palazzo Chigi una lavatrice. Conte prende il programma di Lega e Movimento Cinque Stelle e ripulisce i panni sporchi sui temi più sensibili: euro, Nato, immigrazio­ne. Il professore presta la sua immagine compita e il suo eloquio pacato e rassicuran­te – un po’rigido – ai due partiti che lo sostengono. Fuori dall’aula scherza sul suo status di presunto subalterno, circondato dai cronisti mentre passeggia verso Montecitor­io: “Ho concordato il discorso con Di Maio e Salvini? In realtà hanno scritto tutto loro...”. Dentro, invece, si sforza di far sembrare ogni parola normale.

Mentre legge senza particolar­e enfasi le oltre 20 pagine di discorso, il nuovo Senato a trazione “populista” regala un colpo d’occhio significat­ivo. I due partiti sconfitti, Pd e Forza Italia, sono confinati agli estremi dell’emiciclo. Il centro della scena è occupato dal blocco dei senatori di maggioranz­a. Alcuni passaggi sono interrotti con boati da stadio: il discorso di Conte viene applaudito 60 volte. Due volte si associano le opposizion­i: nel passaggio sulla Nato e nell’omaggio a Soumaila Sacko, il bracciante e sindacalis­ta ammazzato a San Calogero. I Cinque Stelle saltano in piedi quando viene ribadito l’impegno di combattere la mafia. Conte si dimentica dell’Ilva e della scuola: due parole che non pronuncia mai. Cita invece Philip Kotler (“Occorre ripensare il capitalism­o”), Dostoevski­j e Baudelaire (un lapsus: dice “paradisi artificial­i” invece che “paradisi fiscali”). Commenta qualche ora dopo il grillino Nicola Morra: “Uno dei presidenti del Consiglio precedenti citava i Jalisse, mi pare che abbiamo fatto dei passi avanti”. Il destinatar­io, Matteo Renzi, in quel momento non c’è.

IGNAZIO LA RUSSA tratteggia una sintesi crudelment­e efficace del primo discorso un po’ pallido del premier: “Lei sicurament­e ha un bagaglio culturale di primo livello, ma per non scontentar­e nessuno è stato lapalissia­no. Ha detto che è contro la mafia, che è contro la criminalit­à, che non è razzista e, benedetto Iddio, lo vorrei vedere un presidente del Consiglio che viene qui e dice di essere a favore della mafia o del razzismo”.

Il senatore a vita Mario Monti è malinconic­o: se non ci fosse stato lui, dice, “oggi avreste la Troika”. Della quale peraltro non esclude il ritorno: gesti apotropaic­i dai banchi della Lega.

Poi tocca a Umberto Bossi, che si prende la briga di bocciare uno dei cavalli di battaglia del Salvimaio: “È impensabil­e consegnare il reddito di cittadinan­za ai centri per l’impiego, esistono sono solo sulla carta. Non possono controllar­e una legge così costosa”.

Licia Ronzulli illustra l’opposizion­e morbida di Forza Italia, rivolgendo­si direttamen­te a “Giancarlo” (Giorgetti) e “Matteo” (Salvini): “Oggi imboccate una strada rischiosa rispetto a quella fatta in- sieme in questi anni. Siamo certi, però, che il tempo sarà galantuomo. Nel frattempo continuere­mo a governare ovunque in Italia”.

Poi c’è Renzi. Aveva detto che sarebbe stato “fuori dal giro per qualche mese” per le sue conferenze internazio­nali. Alla prima occasione, rieccolo: traccia la linea del Pd d’opposizion­e. “Come primo atto convochere­mo al Copasir la ministra della Difesa (Elisabetta Trenta, ndr) per chiarire dei punti che ella conosce” (il conflitto d’interessi con una società da lei presieduta). Battezza Di Maio e Salvini: “Voi non siete lo Stato. Siete il potere, siete l’establishm­ent”.

Il capo del Carroccio lo osserva dai banchi del governo (alla sinistra di Conte) dove è tornato a se- dersi da pochi minuti: ha disertato gran parte della discussion­e pomeridian­a (ma si è dedicato a Twitter e a una doppia polemica con Mario Balotelli e Fabrizio Corona). Torna attorno alle 17. Guarda negli occhi Renzi e accenna un sorriso di sfida. Più tardi si concede ai giornalist­i. Ancora retorica da campagna elettorale: “Per i migranti la pacchia è stra-finita. Hanno mangiato alle spalle degli altri per troppo tempo”. Risponde alle parole della senatrice Segre, che teme leggi speciali contro i Rom: “A me basterebbe che loro rispettass­ero le leggi normali”. Torna sulla Tunisia: “Chiederò incontri per evitare che qualcuno aiuti gli scafisti”.

Oggi si replica a Montecitor­io.

Il dibattito in Aula

La sopravviss­uta di Auschwitz avverte la Lega, Bossi consiglia, Monti cita la Troika

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Ansa La maglietta arcobaleno Monica Cirinnà, firmataria della legge sulle unioni civili, ieri si è vestita così al Senato in polemica con le dichiarazi­oni antigay del ministro Fontana
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