POLIZIOTTO BUONO E POLIZIOTTO CATTIVO
IL PREMIER TIENE DISCORSI EQUILIBRATI IN PARLAMENTO: LOTTA ALLA POVERTÀ, ALL’EVASIONE, ALLA CORRUZIONE, AI CONFLITTI D’INTERESSI. POI SALVINI COPIA MINNITI: “NIENTE APPRODI AI MIGRANTI”
Nessuna emozione palpitante nell’eloquio del nuovo premier, nessuna sorpresa nei numeri. Giuseppe Conte ottiene la prima fiducia di fronte al Senato della Repubblica esattamente con la cifra che si aspettava: 171 sì, 10 oltre la soglia della maggioranza assoluta. Sono i 167 senatori di Lega e Movimento 5 Stelle più 4 del gruppo misto (i due ex grillini Buccarella e Martelli e due eletti all’e st er o Merlo e Cario). I no sono stati invece 117, praticamente tutti dai banchi di Pd e Forza Italia. Gli astenuti 25: i 18 eletti di Fratelli d’Italia, il gruppo Per le Autonomie (eccetto Bressa e Casini) e alcuni dei senatori a vita (tra cui Liliana Segre).
L’IMP RESSIO NE che si ricava dal primo, lunghissimo discorso pubblico di Giuseppe Conte – 71 minuti e 24 secondi, più altri 30 di replica – è che di Maio e Salvini abbiano piazzato a Palazzo Chigi una lavatrice. Conte prende il programma di Lega e Movimento Cinque Stelle e ripulisce i panni sporchi sui temi più sensibili: euro, Nato, immigrazione. Il professore presta la sua immagine compita e il suo eloquio pacato e rassicurante – un po’rigido – ai due partiti che lo sostengono. Fuori dall’aula scherza sul suo status di presunto subalterno, circondato dai cronisti mentre passeggia verso Montecitorio: “Ho concordato il discorso con Di Maio e Salvini? In realtà hanno scritto tutto loro...”. Dentro, invece, si sforza di far sembrare ogni parola normale.
Mentre legge senza particolare enfasi le oltre 20 pagine di discorso, il nuovo Senato a trazione “populista” regala un colpo d’occhio significativo. I due partiti sconfitti, Pd e Forza Italia, sono confinati agli estremi dell’emiciclo. Il centro della scena è occupato dal blocco dei senatori di maggioranza. Alcuni passaggi sono interrotti con boati da stadio: il discorso di Conte viene applaudito 60 volte. Due volte si associano le opposizioni: nel passaggio sulla Nato e nell’omaggio a Soumaila Sacko, il bracciante e sindacalista ammazzato a San Calogero. I Cinque Stelle saltano in piedi quando viene ribadito l’impegno di combattere la mafia. Conte si dimentica dell’Ilva e della scuola: due parole che non pronuncia mai. Cita invece Philip Kotler (“Occorre ripensare il capitalismo”), Dostoevskij e Baudelaire (un lapsus: dice “paradisi artificiali” invece che “paradisi fiscali”). Commenta qualche ora dopo il grillino Nicola Morra: “Uno dei presidenti del Consiglio precedenti citava i Jalisse, mi pare che abbiamo fatto dei passi avanti”. Il destinatario, Matteo Renzi, in quel momento non c’è.
IGNAZIO LA RUSSA tratteggia una sintesi crudelmente efficace del primo discorso un po’ pallido del premier: “Lei sicuramente ha un bagaglio culturale di primo livello, ma per non scontentare nessuno è stato lapalissiano. Ha detto che è contro la mafia, che è contro la criminalità, che non è razzista e, benedetto Iddio, lo vorrei vedere un presidente del Consiglio che viene qui e dice di essere a favore della mafia o del razzismo”.
Il senatore a vita Mario Monti è malinconico: se non ci fosse stato lui, dice, “oggi avreste la Troika”. Della quale peraltro non esclude il ritorno: gesti apotropaici dai banchi della Lega.
Poi tocca a Umberto Bossi, che si prende la briga di bocciare uno dei cavalli di battaglia del Salvimaio: “È impensabile consegnare il reddito di cittadinanza ai centri per l’impiego, esistono sono solo sulla carta. Non possono controllare una legge così costosa”.
Licia Ronzulli illustra l’opposizione morbida di Forza Italia, rivolgendosi direttamente a “Giancarlo” (Giorgetti) e “Matteo” (Salvini): “Oggi imboccate una strada rischiosa rispetto a quella fatta in- sieme in questi anni. Siamo certi, però, che il tempo sarà galantuomo. Nel frattempo continueremo a governare ovunque in Italia”.
Poi c’è Renzi. Aveva detto che sarebbe stato “fuori dal giro per qualche mese” per le sue conferenze internazionali. Alla prima occasione, rieccolo: traccia la linea del Pd d’opposizione. “Come primo atto convocheremo al Copasir la ministra della Difesa (Elisabetta Trenta, ndr) per chiarire dei punti che ella conosce” (il conflitto d’interessi con una società da lei presieduta). Battezza Di Maio e Salvini: “Voi non siete lo Stato. Siete il potere, siete l’establishment”.
Il capo del Carroccio lo osserva dai banchi del governo (alla sinistra di Conte) dove è tornato a se- dersi da pochi minuti: ha disertato gran parte della discussione pomeridiana (ma si è dedicato a Twitter e a una doppia polemica con Mario Balotelli e Fabrizio Corona). Torna attorno alle 17. Guarda negli occhi Renzi e accenna un sorriso di sfida. Più tardi si concede ai giornalisti. Ancora retorica da campagna elettorale: “Per i migranti la pacchia è stra-finita. Hanno mangiato alle spalle degli altri per troppo tempo”. Risponde alle parole della senatrice Segre, che teme leggi speciali contro i Rom: “A me basterebbe che loro rispettassero le leggi normali”. Torna sulla Tunisia: “Chiederò incontri per evitare che qualcuno aiuti gli scafisti”.
Oggi si replica a Montecitorio.
Il dibattito in Aula
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