Il grande caos dei centri per l’impiego, primo ostacolo sulla via del reddito di cittadinanza
Il monitoraggio Anpal racconta carenze di organico e servizi scadenti
Il primo passo per il reddito di cittadinanza è “rafforzare i centri per l’impiego”, assicura il nuovo presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel suo discorso di insediamento. Sì, ma come? Il ministro del Lavoro Luigi Di Maio parla di un investimento da 2 miliardi, non si sa se una tantum o all’anno. Il problema è che se domani il governo raddoppiasse i 7.934 dipendenti otterrebbe il solo risultato di raddoppiare le inefficienze.
L’AGENZIA NAZIONALE delle politiche attive (Anpal) guidata da Maurizio Del Conte ha presentato ieri un “monitoraggio sulla struttura e il funzionamento dei servizi per il lavoro 2017” che ai Cinque Stelle dovrebbe suggerire una conclusione: i soldi non sono il vero problema, bisogna prima pensare a cosa devono fare i centri per l’i mpiego.
Il reddito di cittadinanza dovrebbe essere soprattutto una misura anti-povertà, ma per arginare le critiche sui possibili comportamenti opportunistici, i Cinque Stelle ora enfatizzano le condizioni a cui è abbinato che richiedono l’iscrizione dei poveri (almeno di quelli disoccupati) a un centro. Le funzioni principali dei centri per l’impiego, si legge nel monitoraggio dell’Anpal, “si presentano come un complesso non troppo ampio di attività, dal profilo minimalista”. La lista dei problemi è questa :“Inadeguatezza delle competenze del personale, insufficienza numerica degli organici, or- ganizzazione emergenziale del lavoro, carenza di infrastrutture, sottodimensionamento del personale specializzato”. La carenza media per ogni centro è di 11 persone – soprattutto orientatori psicologi e impiegati – per 501 centri principali cui si aggiungono 51 sedi secondarie e 288 distaccate. Un numero relativamente basso, che si spiega col fatto che oggi i centri per l’impiego non offrono il servizio per cui sono stati pensati.
NON È COLPA dell’Anpal, ma del governo Renzi che ha creato un’agenzia con i poteri per coordinare le politiche attive ma che era pensata per l’Italia della riforma costituzionale che invece è stata bocciata dal referendum nel 2016. E quindi l’Anpal si scontra con il fatto che la competenza sulle politiche attive è rimasta a livello regionale. Risultato: ogni Regione offre i servizi che riesce o che vuole. Se un centro per l’impiego del Lazio ci mette 24 mesi a trovare la prima offerta di lavoro per un disoccupato si può dire che rispetta la sua missione nella forma, ma non certo nella sostanza visto che dopo due anni di inattività anche le persone più volenterose rischiano di non essere più neppure occupabili.
La promessa Anche investire 2 miliardi senza ridefinirne il ruolo rischia di peggiorare la situazione
Da tempo Del Conte, presidente dell’Anpal, auspica che si definiscano standard universali di servizio a cui ha diritto chi si rivolge al centro per l’impiego, in modo che le prestazioni siano analoghe in Sicilia come in Lombardia. Servirebbe anche per stabilire come i centri devono rapportarsi con il resto dei servizi pubblici, dagli assistenti sociali all’assistenza contro le tossicodipendenze alle aziende sanitarie locali. Oggi prevale l’anarchia e quasi metà dei centri per l’impiego (47 per cento) lamenta l’inadegua tezza dell’apparato informatico – decisivo per mettere in Rete le offerte di lavoro – e gli operatori hanno carichi che rendo- no difficile garantire un servizio efficace: 274 beneficiari per ogni impiegato.
I CINQUE STELLE finora non hanno chiarito come vogliono cambiare: ostentano scetticismo per l’Anpal, perché creata nell’ambito del Jobs Act del governo Renzi, e vogliono puntare sui centri per l’impiego come fulcro del progetto di reddito di cittadinanza anziché sui Comuni e sull’Inps, che oggi gestiscono il Reddito di inclusione (il Rei, primo strumento universale anti-povertà). Ma caricare di lavoro strutture come i centri per l’impiego la cui missione è oggi piuttosto confusa rischia di fare solo danni. Anche con un investimento di 2 miliardi.