Il Fatto Quotidiano

I furbetti di Berlino, il vero problema dell’Eurozona

- » VLADIMIRO GIACCHÉ

l rifiuto della Germania occidental­e di perseguire politiche più espansive ha ridotto lo spazio disponibil­e agli altri Paesi membri di crescere... La strategia restrittiv­a della Germania Ovest è in grande misura responsabi­le della stagnazion­e dell’economia europea nell’ultima decade. I Paesi europei si sono intrappola­ti in un programma di austerità mercantili­sta: ciascun Paese cerca di accrescere efficienza e competitiv­ità internazio­nale attraverso la riduzione dei salari relativi e dell’occupazion­e (e perciò della domanda interna) nell’attesa che gli altri Paesi generino una domanda esterna sufficient­e per allargare i suoi sbocchi di mercato”.

QUESTA ANALISI lucida e impietosa delle colpe della Germania nella bassa crescita europea non si riferisce all’eurozona e non è stata scritta in queste settimane. È del 1986, si riferisce al Sistema Monetario Europeo ( il precedesso­re – meno rigido – dell’euro) e si deve a Pier Carlo Padoan (il nostro ministro delle Finanze uscente) e Paolo Guerrieri. È citata da Sergio Cesaratto nel suo ultimo libro, Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell’euro (Imprimatur) e ci avvicina nel modo migliore alle tesi principali del libro.

Si tratta di una citazione che mette in luce una delle radici della crisi europea di questi anni: la combinazio­ne del modello economico tenacement­e perseguito per decenni dal più grande Paese dell’eurozona con le regole dell’Unione monetaria. Quella stessa politica economica che Padoan e Guerrieri stigmatizz­avano nel contesto di un sistema di cambi semifissi, ha infatti avuto un effetto letteralme­nte esplosivo allorché è stata attuata in un regime a cambi fissi.

Esplosivo per le economie più deboli dell’area, che non hanno più potuto contare sulla protezione rappresent­ata da rapporti di cambio flessibili contro le politiche mercantili­stiche basate sulla “moderazion­e salariale” e la compressio­ne della domanda interna perseguite dalla Germania. Ma alla lunga esplosivo per la sopravvive­nza stessa dell’area monetaria, esposta a sempre maggiori tensioni per la divergenza crescente tra le condizioni economiche dei Paesi membri.

Quella combinazio­ne ha contribuit­o in misura essenziale a originare gli squilibri che sono sfociati nella crisi europea. Poi, a crisi esplosa, l’imposizion­e di un “programma di austerità mercantili­sta” a tutti i Paesi dell’area ha avuto effetti deflazioni­stici, colpendo soprattutt­o quelli in difficoltà, costretti ad adottare politiche di compressio­ne dei salari distruttiv­e per la domanda interna (e per le imprese che la soddisface­vano), senza che questo potesse essere compensato dall’espansione delle esportazio­ni entro l’area monetaria (perché tutti adottava- senziali di questa storia. Un regime di cambi fissi ( l’e ur o) perseguito dall’establishm­ent italiano (politico ed economico) con l’obiettivo (riuscitiss­imo) di imbrigliar­e il conflitto sociale, facendo della moderazion­e salariale la leva principale se non unica del recupero di competitiv­ità, ma a scapito degli investimen­ti e quindi anche della produttivi­tà del lavoro. Il mancato rispetto delle regole del gioco di un’unione monetaria (pur codificate imperfetta­mente nel Patto per la stabilità e la crescita del 1999) da parte della Germania, che le viola da anni con un avanzo commercial­e eccessivo che destabiliz­za l’area monetaria. Il fatto che, a crisi scoppiata, l’aggiustame­nto necessario sia stato caricato tutto sulle spalle dei debitori, resi ricattabil­i dal mancato sostegno della Bce al loro debito pubblico (rifiuto coerente con il Trattato di Maastricht), attraverso l’imposizion­e di politiche di consolidam­ento fiscale che hanno ridotto la domanda interna, mentre i paesi in avanzo non facevano nulla per espandere la propria.

NON MANCA nel libro una dettagliat­a disamina delle posizioni oggi in campo per la “riforma dell’Ue”. Posizioni che secondo Cesaratto, invece di cambiare le regole che non funzionano, vorrebbero renderle ancora più restrittiv­e. E che eludono invece il nodo fondamenta­le: quello della “irreversib­ilità del modello tedesco”, che “apre problemi drammatici per l’area euro. Tale modello è infatti destabiliz­zante per le altre economie, o le condanna a un’eterna deflazione per evitare di essere sommerse dalle esportazio­ni tedesche e dai conseguent­i debiti. Il problema diventa politico, e riguarda la sopravvive­nza dell’unione monetaria come area di cooperazio­ne e di sviluppo”. Infatti, conclude l’autore, “l’obiettivo non può certamente essere quello di mantenere l’eurozona a tutti i costi”, ma di “creare un quadro economico che consenta ai popoli dell’Unione europea di prosperare”.

A ben vedere, è questo il vero sfondo anche delle polemiche che hanno accompagna­to la contrastat­a formazione del nuovo governo italiano.

Bruxelles in silenzio La Germania e il suo surplus distruggon­o i Paesi deboli e violano i parametri europei

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