I furbetti di Berlino, il vero problema dell’Eurozona
l rifiuto della Germania occidentale di perseguire politiche più espansive ha ridotto lo spazio disponibile agli altri Paesi membri di crescere... La strategia restrittiva della Germania Ovest è in grande misura responsabile della stagnazione dell’economia europea nell’ultima decade. I Paesi europei si sono intrappolati in un programma di austerità mercantilista: ciascun Paese cerca di accrescere efficienza e competitività internazionale attraverso la riduzione dei salari relativi e dell’occupazione (e perciò della domanda interna) nell’attesa che gli altri Paesi generino una domanda esterna sufficiente per allargare i suoi sbocchi di mercato”.
QUESTA ANALISI lucida e impietosa delle colpe della Germania nella bassa crescita europea non si riferisce all’eurozona e non è stata scritta in queste settimane. È del 1986, si riferisce al Sistema Monetario Europeo ( il precedessore – meno rigido – dell’euro) e si deve a Pier Carlo Padoan (il nostro ministro delle Finanze uscente) e Paolo Guerrieri. È citata da Sergio Cesaratto nel suo ultimo libro, Chi non rispetta le regole? Italia e Germania, le doppie morali dell’euro (Imprimatur) e ci avvicina nel modo migliore alle tesi principali del libro.
Si tratta di una citazione che mette in luce una delle radici della crisi europea di questi anni: la combinazione del modello economico tenacemente perseguito per decenni dal più grande Paese dell’eurozona con le regole dell’Unione monetaria. Quella stessa politica economica che Padoan e Guerrieri stigmatizzavano nel contesto di un sistema di cambi semifissi, ha infatti avuto un effetto letteralmente esplosivo allorché è stata attuata in un regime a cambi fissi.
Esplosivo per le economie più deboli dell’area, che non hanno più potuto contare sulla protezione rappresentata da rapporti di cambio flessibili contro le politiche mercantilistiche basate sulla “moderazione salariale” e la compressione della domanda interna perseguite dalla Germania. Ma alla lunga esplosivo per la sopravvivenza stessa dell’area monetaria, esposta a sempre maggiori tensioni per la divergenza crescente tra le condizioni economiche dei Paesi membri.
Quella combinazione ha contribuito in misura essenziale a originare gli squilibri che sono sfociati nella crisi europea. Poi, a crisi esplosa, l’imposizione di un “programma di austerità mercantilista” a tutti i Paesi dell’area ha avuto effetti deflazionistici, colpendo soprattutto quelli in difficoltà, costretti ad adottare politiche di compressione dei salari distruttive per la domanda interna (e per le imprese che la soddisfacevano), senza che questo potesse essere compensato dall’espansione delle esportazioni entro l’area monetaria (perché tutti adottava- senziali di questa storia. Un regime di cambi fissi ( l’e ur o) perseguito dall’establishment italiano (politico ed economico) con l’obiettivo (riuscitissimo) di imbrigliare il conflitto sociale, facendo della moderazione salariale la leva principale se non unica del recupero di competitività, ma a scapito degli investimenti e quindi anche della produttività del lavoro. Il mancato rispetto delle regole del gioco di un’unione monetaria (pur codificate imperfettamente nel Patto per la stabilità e la crescita del 1999) da parte della Germania, che le viola da anni con un avanzo commerciale eccessivo che destabilizza l’area monetaria. Il fatto che, a crisi scoppiata, l’aggiustamento necessario sia stato caricato tutto sulle spalle dei debitori, resi ricattabili dal mancato sostegno della Bce al loro debito pubblico (rifiuto coerente con il Trattato di Maastricht), attraverso l’imposizione di politiche di consolidamento fiscale che hanno ridotto la domanda interna, mentre i paesi in avanzo non facevano nulla per espandere la propria.
NON MANCA nel libro una dettagliata disamina delle posizioni oggi in campo per la “riforma dell’Ue”. Posizioni che secondo Cesaratto, invece di cambiare le regole che non funzionano, vorrebbero renderle ancora più restrittive. E che eludono invece il nodo fondamentale: quello della “irreversibilità del modello tedesco”, che “apre problemi drammatici per l’area euro. Tale modello è infatti destabilizzante per le altre economie, o le condanna a un’eterna deflazione per evitare di essere sommerse dalle esportazioni tedesche e dai conseguenti debiti. Il problema diventa politico, e riguarda la sopravvivenza dell’unione monetaria come area di cooperazione e di sviluppo”. Infatti, conclude l’autore, “l’obiettivo non può certamente essere quello di mantenere l’eurozona a tutti i costi”, ma di “creare un quadro economico che consenta ai popoli dell’Unione europea di prosperare”.
A ben vedere, è questo il vero sfondo anche delle polemiche che hanno accompagnato la contrastata formazione del nuovo governo italiano.
Bruxelles in silenzio La Germania e il suo surplus distruggono i Paesi deboli e violano i parametri europei