“90° Minuto”, il calcio come non si vede più
In attesa di conoscere di che “pacchetti” dovremo morire o abbuffarci, la notizia che 90° minuto rischia la chiusura pugnala la memoria, che non sarà tutto ma non è neppure poco. I diritti sono diritti e, dunque, il divieto di proporre sunti delle partite prima delle 22 di ogni domenica, se confermato, non lede le leggi del mercato. Ha solo l’aria, mesta, di una fine.
Fratello di Tutto il calcio minuto per minuto, che fu lanciato in radio nel 1960 e innalzò i transistor al rango di inseparabili feticci, Novantesimo minuto
(in lettere, all’inizio), nacque dieci anni dopo, nel 1970.
Chi scrive, lo ha abbandonato da tempo al suo destino, il destino dolce ma disarmato di quel piccolo mondo antico che il progresso – si chiama così – deporta spesso alla periferia del Nuovo. Con l’invasione televisiva è cambiato tutto: il calcio spezzatino, che esecro a giorni alterni, ha allargato il ventaglio dei mestieri, compreso il mio: opinionista fa rima con “poltronista”. Meno scarpino, più vedo.
L’idea venne a Maurizio Barendson, Paolo Valenti e Remo Pascucci. Il conduttore più popolare, non ancora sinonimo di populista, risultò Valenti. Dalle voci si passò alle facce, dall’immaginazione alle immagini. Una svolta epocale: sul serio. Dalla tribuna dello stadio correvo in sala-stampa mendicando un televisore. Avrei potuto finalmen- te correggere gli errori di tiro, non solo quelli di ortografia.
LA TRASMISSIONE raggiunse picchi di venti milioni di fedeli. Era una sorta di messa vespertina che univa nord e sud. Il tifoso la beveva, l’appassionato la studiava, e persino la casalinga la sbirciava curiosa. Era sport, era giornalismo, era teatro. I filmati scorrevano e saziavano, certo, ma pure i “cuochi” che li preparavano e commentavano diventarono, in breve, attori non meno dei calciatori. Giorgio Bubba da Genova, Luigi Necco da Napoli, Piero Pasini da Bologna, Cesare Castellotti da Torino, Tonino Carino da Ascoli, Marcello Giannini da Firenze, Gianni Vasino da Milano, Ferruccio Gard da Verona, eccetera. Ancora oggi, noi ragazzi del secolo scorso li citiamo come se fossero la formazione di una squadra. Segno che il passato non passa mai.
Competenza e lauree nascoste fra giacche e cravatte che i sarti dei social demolirebbero, pronunce impronunciabili di meteore slave, postura e linguaggio ammiccanti, battutine a distanza: l’Italia dei campanili chiedeva al calcio il sollievo di una metafora, e l’ottenne.
Piano piano, 90° minuto si è allargato alla moviola e alla Serie B, ha accettato e combattuto la sfida impari con le pay tv che lo riducevano a offertorio stringato e parziale, in balia di anticipi e posticipi.
Sono, i giornalisti di “90°”, giapponesi che sanno di aver perso la guerra ma continuano a resistere, in chiaro per tutti. Ho scritto “continuano” e mi auguro che restino margini per non scivolare all’imperfetto. In fin dei conti, qualche dovere dovrebbero averlo pure i signori dei diritti, a maggior ragione in un Paese come il nostro che sposa le regole e va a letto con le eccezioni. O forse fa paura l’ 11,32% di share, pari a 1.581.000 telespettatori, che ottenne la puntata del 6 maggio?