Addio a Gino Santercole: ci lascia uno dei ragazzi della via Gluck
E cognato di Adriano Celentano, autore di successi come “Una carezza in un pugno”
Fermare il tempo. Dominarlo. Riavvolgerlo. Era una delle ossessioni segrete di Gino Santercole. Sin da quando, ragazzino uscito di collegio dopo la morte del padre, si mise a fare l’orologiaio assieme allo zio. Uno zio di cui sarebbe divenuto, una volta adulto, anche cognato, aggrovigliando i fili di quel bizzarro stato di famiglia, il nucleo di pugliesi trapiantati dopo la guerra a Milano che gravitava attorno alla casa di via Gluck 10.
ERA LÌ CHE IL NIPOTEGino e lo zio Adriano, praticamente coetanei, trafficavano con le corone e le lancette, esultando ogni volta che quegli ingranaggi ripartivano e il tempo rispondeva alla loro sollecitazione. Il tempo per Santercole è finito stanotte, quando il suo cuore si è arreso per un infarto a Roma, la sua città adottiva sin dal 1972. Aveva deciso di stabilirsi nella Capitale dopo le riprese di Er più, il film sui bulli trasteverini in cui anche Gino aveva una parte, ma non così decisiva come quelle di zio Adriano, di Maurizio Arena o di Claudia Mori, la sorella della sua prima moglie, Anna Moroni.
Un rapporto coniugale complicato, tormentoso, che naufragò quando fu lo stesso Molleggiato a rivelare al nipote i tradimenti di Anna. Non ne uscì bene, Santercole, da quel fallimento sentimentale, fino alla ritrovata serenità con la seconda consorte Malù. Ma dietro quel sorriso aperto e comunicativo c’era sempre un tarlo a scavargli l’anima, un mal sottile scaturito dalla consapevolezza che le vite parallele non portano necessaria- mente agli stessi traguardi. “La mia è stata un’esistenza a ll ’ ombra di Adriano”, ammetteva: e chissà chi vinceva, come finivano le partite di baseball nei campi a due passi da Via Gluck, dietro la Bicocca pirelliana. Chissà cosa provava quando Celentano veniva incoronato re del r'n'r italiano e lui, Gino, restava in seconda fila, semplice membro dei Rock Boys e più tardi dei Ribelli, fondatore ma senza potere esecutivo di un Clan in cui lo zio amava far fuori tutti gli oppositori, a partire da Don Backy. E come immaginare che Il ragazzo della Via Gluck, la canzone che a Sanremo ‘66 era stata proposta in abbinamento tra Adriano e il Trio del Clan (Gino, Pilade, Ico Cerutti) venisse bocciata dalle giurie? Eppure era lo stesso, riuscitissimo manifesto protoecologista di cui poi si innamorò Pasolini, che da quel brano ipotizzava di ricavarne un film. E quanta fatica, per Gino, dover ripetere agli ignari che sì, la musica de La carezza in un pugno (sontuoso lato B dell’epocale 45 giri di Azzurro) l’aveva scritta lui, e pure Svalutation, Un bimbo sul leone, Straordinariamente. E chi ricordava più il suo maggior successo, Stella d’argento?
ROBA DI MEZZO secolo fa e oltre. Se andavi a incontrarlo nel suo ristorante romano, Gino ti raccontava con piacere i trascorsi cinematografici con Risi, Monicelli, Montaldo, Comencini, Salce. Il sigaro e i silenzi di Pietro Germi. I rutti di Charlotte Rampling. Con zio, dopo anni di incomprensioni, e un pezzo esplicito come Adriano ti incendierò, aveva fatto pace in tv nel ‘99, a Francamente me ne infischio. E pure con la musica, il rock e il blues del suo album di quattro anni fa significativamente intitolato Vorrei essere me. Con gli orologi no. Ha continuato a litigarci fino alla notte scorsa.