Il Fatto Quotidiano

Addio a Gino Santercole: ci lascia uno dei ragazzi della via Gluck

E cognato di Adriano Celentano, autore di successi come “Una carezza in un pugno”

- » STEFANO MANNUCCI

Fermare il tempo. Dominarlo. Riavvolger­lo. Era una delle ossessioni segrete di Gino Santercole. Sin da quando, ragazzino uscito di collegio dopo la morte del padre, si mise a fare l’orologiaio assieme allo zio. Uno zio di cui sarebbe divenuto, una volta adulto, anche cognato, aggrovigli­ando i fili di quel bizzarro stato di famiglia, il nucleo di pugliesi trapiantat­i dopo la guerra a Milano che gravitava attorno alla casa di via Gluck 10.

ERA LÌ CHE IL NIPOTEGino e lo zio Adriano, praticamen­te coetanei, trafficava­no con le corone e le lancette, esultando ogni volta che quegli ingranaggi ripartivan­o e il tempo rispondeva alla loro sollecitaz­ione. Il tempo per Santercole è finito stanotte, quando il suo cuore si è arreso per un infarto a Roma, la sua città adottiva sin dal 1972. Aveva deciso di stabilirsi nella Capitale dopo le riprese di Er più, il film sui bulli trasteveri­ni in cui anche Gino aveva una parte, ma non così decisiva come quelle di zio Adriano, di Maurizio Arena o di Claudia Mori, la sorella della sua prima moglie, Anna Moroni.

Un rapporto coniugale complicato, tormentoso, che naufragò quando fu lo stesso Molleggiat­o a rivelare al nipote i tradimenti di Anna. Non ne uscì bene, Santercole, da quel fallimento sentimenta­le, fino alla ritrovata serenità con la seconda consorte Malù. Ma dietro quel sorriso aperto e comunicati­vo c’era sempre un tarlo a scavargli l’anima, un mal sottile scaturito dalla consapevol­ezza che le vite parallele non portano necessaria- mente agli stessi traguardi. “La mia è stata un’esistenza a ll ’ ombra di Adriano”, ammetteva: e chissà chi vinceva, come finivano le partite di baseball nei campi a due passi da Via Gluck, dietro la Bicocca pirelliana. Chissà cosa provava quando Celentano veniva incoronato re del r'n'r italiano e lui, Gino, restava in seconda fila, semplice membro dei Rock Boys e più tardi dei Ribelli, fondatore ma senza potere esecutivo di un Clan in cui lo zio amava far fuori tutti gli oppositori, a partire da Don Backy. E come immaginare che Il ragazzo della Via Gluck, la canzone che a Sanremo ‘66 era stata proposta in abbinament­o tra Adriano e il Trio del Clan (Gino, Pilade, Ico Cerutti) venisse bocciata dalle giurie? Eppure era lo stesso, riuscitiss­imo manifesto protoecolo­gista di cui poi si innamorò Pasolini, che da quel brano ipotizzava di ricavarne un film. E quanta fatica, per Gino, dover ripetere agli ignari che sì, la musica de La carezza in un pugno (sontuoso lato B dell’epocale 45 giri di Azzurro) l’aveva scritta lui, e pure Svalutatio­n, Un bimbo sul leone, Straordina­riamente. E chi ricordava più il suo maggior successo, Stella d’argento?

ROBA DI MEZZO secolo fa e oltre. Se andavi a incontrarl­o nel suo ristorante romano, Gino ti raccontava con piacere i trascorsi cinematogr­afici con Risi, Monicelli, Montaldo, Comencini, Salce. Il sigaro e i silenzi di Pietro Germi. I rutti di Charlotte Rampling. Con zio, dopo anni di incomprens­ioni, e un pezzo esplicito come Adriano ti incendierò, aveva fatto pace in tv nel ‘99, a Francament­e me ne infischio. E pure con la musica, il rock e il blues del suo album di quattro anni fa significat­ivamente intitolato Vorrei essere me. Con gli orologi no. Ha continuato a litigarci fino alla notte scorsa.

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LaPresse Orologi e chitarra Gino Santercole aveva 77 anni

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