Il Fatto Quotidiano

“Piacciono le ‘storie’ di foto: dopo 24 ore non lasciano traccia”

Il sociologo

- VDS

Gli

adolescent­i non vogliono stare negli ambienti in cui stanno genitori o adulti come Facebook. Per questo è naturale il loro spostament­o verso piattaform­e simili, come Instagram”: Giovanni Boccia Artieri è un sociologo e insegna all’Univ ersi tà Carlo Bo di Urbino.

Un social dove si condividon­o solo foto e video è percepito come “più intimo”?

Sì, perché appunto gli adulti vi sono ancora in gran parte esclusi e perché i profili sono più blindati. Inoltre, ci sono le star che i ragazzi seguono: il social diventa il luogo della disinterme­diazione rispetto ai loro idoli. Poi c’è la questione del linguaggio.

Si riferisce alle “stor ie” di Instagram, che oltretutto danno la possibilit­à di controllar­e chi visita il proprio profilo?

Non solo. I video brevi, le animazioni, le immagini messe in fila che si cancellano dopo 24 ore consentono alle persone di raccontare la loro quotidiani­tà senza che questa poi li definisca a distanza di tempo. È come se ci fosse un doppio canale: le foto del pro- filo, che restano e forniscono l’immagine che vuoi far passare di te, e le storie che raccontano invece gli attimi e le giornate. Senza contare che i commenti e le interazion­i sulle storie sono privati, restano tra chi pubblica e chi scrive senza essere esposti al pubblico come invece accade su altri social network. Si parte da una foto, ma si entra in una sorta di “dimensione chat”. Gli inserzioni­sti come vivono questa fuga?

Sempliceme­nte si spostano. Instagram, ad esempio, è un ambiente in cui puoi entrare in sintonia con i gusti dei tuoi potenziali consumator­i perché il sistema di chi segue personaggi e marchi è strettamen­te legato alle passioni che esprimono. È meno generalist­a, molto più facile catalogare.

Le persone abbandoner­anno mai i social network?

Al momento direi di no, perché rispondono al bisogno di contatto e di relazioni intime e di massa insieme, mettono in narrazione i gusti, permettono di “scoprire” gli altri e sperimenta­re, anche, la vita pubblica.

Twitter & C ci fanno conoscere gli altri. Rispondono al bisogno di contatto e di relazioni intime

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