Anche la Ligue 1 batte la Serie A
Dunque, dopo 12 anni in cui il calcio italiano è diventato, per usare un eufemismo, una bruttura (ma forse il periodo è molto più lungo: il Mondiale del 2006 venne vinto tra i miasmi e le ignominie di Calciopoli che imperversavano almeno dal 1994, anno in cui Umberto Agnelli prese la decisione di affidare la Juventus alla Premiata Ditta Moggi & Giraudo, poi radiati dal calcio e condannati in via definitiva per associazione a delinquere), tanto che il campionato francese, la Ligue 1, da noi considerato da sempre alla stregua di un torneo dei bar, è appena stato venduto per una cifra mai raggiunta dalla nostra Serie A (1153 milioni all’anno per i prossimi 4 anni dal 2020 al 2024).
DOPO 12 anni, dicevamo, in cui l’Italia dei commissari tecnici Marcello Lippi, Cesare Prandelli e Giampiero Ventura è riuscita nell’impresa di: 1) arrivare ultima al primo turno del mondiale del 2010 in Sudafrica preceduta da Paraguay, Slovacchia e (tenetevi forte!) Nuova Zelanda!; 2) arrivare terza su quattro, e quindi farsi eliminare, sempre al primo turno, nel mondiale del 2014 in Brasile preceduta da Costarica e Uruguay; C) di non qualificarsi, seconda volta nella storia dopo il precedente del 1958, al mondiale in Francia che scatterà sabato e al qua- le parteciperanno Arabia Saudita e Islanda, Iran e Corea del Sud, Tunisia e Panama, Marocco e Australia, Giappone e Senegal e stavamo aggiungendo la Svezia, ma poi ci è sovvenuto che gli svedesi sono i colossi che ci hanno spezzato le reni ai playoff, quindi una specie di Grande Ungheria di Hidegkuti, Kocsis e Puskas; dopo tutto questo, per l’appunto, arriva la notizia che la telenovela dei diritti-tv del prossimo triennio, che come la Bella di Torriglia tutti li vogliono ma nessuno se li piglia, verranno ceduti in modo tale da costringere il povero utente ad accendere non uno, ma ben due abbonamenti-tv nel caso voglia continuare a vedere tutto. E insomma, ammesso e non concesso che il feuilleton vada finalmente in porto, la morale della favola è che lo sportivo, quello che in questi anni si è visto infliggere Abete e Tavecchio, Beretta e Miccichè, il bollito Lippi e il super bollito Ventura (non per niente consigliato a Tavecchio dal bollito numero 1, il prode Marcello), quello che ha visto sparire dai monitor due corazzate come Inter e Milan (un po’ come se in Spagna colassero a picco Real e Barcellona), quello che ha seguito in televisione partite giocate in stadi paleolitici e sempre più deserti, affidate ad arbitri che De Santis e Racalbuto, al confronto, erano Santa Maria Goretti, l’appassionato di calcio, dicevamo, per sorbirsi tutta questa sbobba in tv nei prossimi tre anni dovrà pagare il doppio.
UN PO’come passare a fare shopping da via Montenapoleone ai banconi della Upim e vedersi chiedere per un cachemire bucato e da due soldi il doppio di un cachemire di Falconeri. C’erano una volta Maradona a Napoli, Platini a Torino, Falcao a Roma, Rummenigge a Milano, Zico a Udine: e il Verona di Osvaldo Bagnoli che con Tricella e Di Gennaro, contro questi signori, vinceva lo scudetto. Correva l’anno 1985, c’era il sorteggio degli arbitri e nei nostri stadi non c’era posto nemmeno per uno spillo. Adesso vendono le partite a pacchetto e con l’opzione pick (sic) e negli stadi nemmeno un cane. Come si dice in questi casi: per il resto, tutto bene.