La periferia, verso il riscatto di una nuova categoria politica
Con un ascensore sociale che non funzionava più, Meghan ha fatto un Royal acchiappo e il prof. Conte è il nuovo premier
Viene dalla periferia, aveva detto Luigi Di Maio di Giuseppe Conte nella sua prima apparizione. Ed è – l’evocazione del suburbio da parte del capo CinqueStelle – il dettaglio rivelatore più di un qualunque lapsus. È un ascensore sociale che non funziona mai, quello della periferia. Meghan, un’attrice da telefilm, fa il suo Royal Acchiappo e lo sconosciuto prof. Conte è serenamente presidente del Consiglio mentre quel dettaglio – “viene dalla periferia” – ancora più che una sorta di Enalotto è già una categoria del politico. È, la periferia, un hinterland di destino più che di anagrafe.
E IL DESERTO SOCIALE – in periferia nessuno più c’è – è la cifra di gran parte d’Italia dove ogni “vissuto” quasi se ne scivola nelle famose tabelle sulla qualità della vita sempre inversamente proporzionali. Tanto più bello è il tempo quanto più v’incombe il degrado. E così via. La periferia, dunque. Improvvisamente l’Italia, pezzo dopo pezzo, è inghiottita da un grande nulla – culturale, sociale ed economico – fino a relegare in pochi palazzi e alcuni fortilizi, la vita attiva e il nucleo di decisione. La politica, la finanza, il giornalismo, quel poco d’industria e poi – come in uno slot a disposizione di pochi – la gestione del traffico su chi va, arriva.
Passa un’idea – ed è una vecchia ed efficace suggestione di Roberto Saviano – che “chi resta al Sud sia sfigato”. Non c’è più consolazione sentimentale a far ammenda per tutte le volte in cui il topo di campagna prevalga sul sorcio di città (in campagna, si sa, è sempre un’altra cosa). Nell’Italia dei paesi, dei Comuni, delle province, i territori che facevano diga al dilagare della periferia dormitorio – nelle singole realtà – estirpano da loro stessi ogni genius loci, ogni specifico carattere, ogni eccentricità. La campagna si consegna mani e piedi alla città in cambio di alienazione. L’intero Mezzogiorno d’Italia rinuncia alla propria identità per accogliere la narrazione del pittoresco, ad andar bene, fino al sociologismo spinto. La periferia è metafora di contenimento di un più ampio lascito sociologico.
INGLOBA LA PROVINCIA, dismette strapaese, fabbrica l’apnea di afasia e narcosi dove relegare la maggioranza silenziosa. Negli Anni 30 del secolo scorso, da Bagheria, poteva venire fuori un Renato Guttuso. Il paese era centro autosufficiente anche per un artista che in biblioteche, in botteghe d’arte e scuola, aveva agio di consumare il proprio apprendistato. Impossibile oggi quando un nuovo Guttuso altro tirocinio non ha che un’inaspettata lotteria.
Ecco, dunque, la tombolata: la periferia da sempre “sommersa” – come ha scritto Antonello Caporale – si prende il centro da sempre “salvato”. La famosa maggioranza silenziosa. Quella stessa che oggi, forse, trova voce. E un destino, anche?