Massimo Fini e tutti gli eventi del mondo che ha vissuto
I tre volumi autobiografici del giornalista raccolti in un unico libro
Come John Cage, il grande maître dell’avanguardia di un’epoca, che, nei suoi contestati concerti di pianoforte, voleva la finestra aperta “perché si sentisse il rumore dei camion”, Massimo Fini annota aspetti, pensieri, fatti e persone (una piccola parte di ciò che gli è accaduto, aprendo porte e finestre della sua densissima vita) in modo che si senta tutto il rumore di fondo dei decenni che narra. Come se non bastasse, questo misto di verità, di ricordi, di eventi che si passano sopra come le scie incrociate degli aerei di linea quando il cielo è troppo azzurro, sono narrati come se fossero l’arguto sentito dire del narratore di villaggio, ma anche con la precisione del reporter o del testimone cruciale. Massimo Fini trat- ta le sue avventure, un po’ recitando Don Chisciotte, un po’ da capitano di ventura, strano caso di patriota e ribelle, parlandoci, senza riguardo per i presenti, da un autobus affollato in cui sale e scende sempre qualcuno di cui bisogna dire una cosa.
IN QUELLA CALCA, dove c’è un’aria di festa che non c’è mai nel mestiere di ricordare, trovi sempre una immagine che porta memoria, un ricordo che stimola osservazione, una parola che evoca un fatto, un passaggio di bambini e famiglia (sull’autobus sale, tra due fermate, l’autore da piccolo). Lì accanto, una persona realmente esistita (metti Susanna Agnelli) viene a fare conversazione, usando frasi celebri e ignote, un episodio rivelato e uno pensato, non come invenzione , ma come naturale conseguenza di ventate improvvise. C’è un pieno di cose notissime, ignote o pensate, che diventano fatto nuovo e rivelazione nel momento e nel modo in cui l’autore-proprietario le accatasta. Nel suo locale compare improvvisamente qualcuno, che ha vissuto e contato, nel groviglio di vite incrociate che sbattono porte di esordio o congedo. In questo modo faccia- mo la conoscenza di un protagonista multiplo, autore, soggetto, spettatore preciso di se stesso. Però senza altra ambizione che il racconto. Il racconto gli viene bene, tra accelerazioni e lentezze che sono letteratura. Ma l’espediente è di non permettere ai tanti visitatori delle sue pagine di impedire o limitare le lunghe escursioni (una serie di monologhi e conversazioni che sono, insieme, visione, filosofia e presa in giro dei “valori” e della vita, degli “amori” e degli “amanti”, del privato e privatissimo (compresa la narrazione a certi momenti intimi di felicità, brevi lampi di poesia) e anche del suo mestiere e del potere politico. É quasi impossibile voltarsi a narrare la propria vita. Massimo Fini l’ha fatto. Valeva la pena.