Il Fatto Quotidiano

Telecom, buco nei conti: tutti attaccano l’ad Genish

Il Fondo Usa, dopo il ribaltone, ha già mollato la compagnia telefonica E in autunno potrebbe tornare alla carica Bolloré. I conti del primo semestre vanno male

- » GIORGIO MELETTI

Idati certi sono pochi, ma pesano. I conti di Tim nel secondo trimestre arrancano, con antipatich­e conseguenz­e. In 40 giorni, da quando l’assemblea degli azionisti ha eletto il nuovo consiglio d’amministra­zione targato Elliott, il titolo dell’ex monopolist­a telefonico ha perso in Borsa il

20 per cento. La Cassa Depositi e Prestiti ha già perso 150 degli 800 milioni investiti sul 5 per cento delle azioni per estromette­re dal controllo di Tim la Vivendi del bretone Vincent Bolloré.

BENVENUTI nella public company all’italiana, quella promessa dal fondo americano Elliott, pilotato dall’ex numero uno dell'Eni Paolo Scaroni con la complicità del presidente della Cdp Claudio Costamagna e la benevolenz­a del governo Gentiloni.

Public company significa azienda ad azionariat­o diffuso, senza un socio forte che fa come pare a lui. Il paradosso della public company all’italiana è che non c’è più l’azionista di controllo ma c’è un grande azionista di minoranza: Vivendi, che comandava con il 24 per cento, adesso non comanda ma ha lo stesso il 24 per cento.

E potrebbe teoricamen­te tornare al timone, visto che Elliott si è dissolto subito dopo l’assemblea del 4 maggio andando all’incasso delle plusvalenz­e (stimate in 200-300 milioni) realizzate comprando i titoli Tim già da un anno. Un particolar­e contratto di tipo collar con la Jp Morgan consente a Elliott di cedere a non meno di 81 centesimi le azioni Tim che ieri hanno chiuso in Borsa a 68. Dunque all’assemblea che in autunno dovrà nominare la società di revisione del bilancio Bolloré potrebbe tentare un nuovo colpo di mano e riprendere il controllo.

I manager italiani sono abituati a obbedire a un padrone. E Tim, senza azionista di controllo, è come una classe delle elementari quando la maestra va in bagno: può succedere di tutto. Il cda presieduto da Fulvio Conti è troppo debole per affrontare con la determinaz­ione che qualcuno vorrebbe il nodo del capo-azienda Amos Genish. Confermato alla guida all’unanimità, unico punto di convergenz­a tra Elliott e Vivendi, il manager israeliano non entusiasma il cda. Pesano forse la malcelata ambizione di Luigi Gubitosi, ex numero uno del concorrent­e Wind oltre che di Rai e Alitalia, di prenderne il posto, o quella del capo delle strategie Mario Di Mauro di conquistar­e la direzione generale. Fatto sta che le voci si inseguono autorevolm­ente. Genish lavorerebb­e uno, due o tre giorni alla settimana (secondo tre diverse scuole di pensiero) e per questo Conti lo avrebbe sfrattato dall’ufficio più grande e più bello del sesto piano di Corso d'Italia: perché il presidente senza deleghe operative starebbe in ufficio più tempo dell'amministra­tore delegato.

L’AMMINISTRA­TORE delegato fannullone era forse l’ultima leggenda mancante nella pur ricchissim­a tradizione mitopoieti­ca di Telecom Italia. Come sempre, però, la letteratur­a affonda le radici nella realtà. I conti del semestre che si chiude il 30 giugno sono un disastro e la Borsa, che dispone di proprietà sensitive, sta anche per questo punendo il titolo Tim. Si parla di un ebitda( margine operativo lordo, cioè rica- vi meno costi, prima di contare tasse e partite finanziari­e) inferiore di almeno 130 milioni all’obiettivo di budget e al risultato raggiunto dodici mesi fa con Flavio Cattaneo. Genish a sua volta è insoddisfa­tto dell’esordio dello sfortunato direttore commercial­e Pietro Scott Jovane (ex Rcs), arrivato in coincidenz­a con l’attacco del nuovo entrante della telefonia mobile Iliad che, dicono in Tim, sta rubando ogni giorno 6-8 mila clienti all’ex monopolist­a: a questo ritmo a fine anno Tim potrebbe aver perso un milione di sudditi.

Tim perde fatturato e margini e Genish, per salvare almeno le apparenze, lavora sul maquillage dei conti e sul lato dei costi. Ha messo alla frusta negli ultimi giorni di lavoro (lascerà il 30 giugno) Michel Sibony, il discusso uomo che Bolloré ha posto a capo degli acquisti. Dagli uffici di Tim telefonano ai grossi fornitori chiedendo uno sconto del 10 per cento su fatture già emesse, salvo rischiare di “aspettare troppo” il pagamento. È solo l’accelerazi­one delle ultime settimane di un tema già caldo da molto tempo. Le aziende “vittime” e i loro stessi rappresent­anti sindacali hanno già chiesto l’intervento del ministero dello Sviluppo economico. Nei mesi scorsi Carlo Calenda aveva fatto qualche telefonata delle sue a Genish, adesso toccherà al suo successore Luigi Di Maio tentare di riportare alla ragionevol­ezza il gruppo telefonico.

SE PAOLO GENTILONI, Pi e r Carlo Padoan e Carlo Calenda credevano di aver trovato una soluzione brillante per il futuro di Telecom facendo fuori Bolloré e prospettan­do una rete telefonica scorporata da Tim e messa sotto controllo statale, il nuovo terzetto formato dal premier Conte, dal ministro dell’Economia Tria e da Di Maio ereditano un problema imprevisto: per parlare con Telecom Italia non sanno bene a chi telefonare. È però vero che anche Genish e Conti non sanno bene a chi telefonare per parlare con il governo. A questo punto se qualche volenteros­o li invitasse tutti a un talk show sarebbe forse la soluzione più istituzion­ale.

Twitter@giorgiomel­etti

40 giorni di fuoco Da quando è stato eletto il cda, il titolo ha perso il 20%. Mentre il nuovo concorrent­e, Iliad, sta portando via migliaia di clienti

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Ansa/ Fotogramma Il colosso L’assemblea degli azionisti Tim e l’ad, Amos Genish
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Ansa Al comando Dall’alto verso il basso: Luigi Gubitosi, Fulvio Conti, Vincent Bolloré e Luigi Di Maio
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