MONSIEUR MACRON, COSA AVETE VOI DA INSEGNARCI?
Sembra che, finalmente, il buon senso inizi a far breccia nelle “ovattate” stanze del Palazzo dei Marescialli. Il 6 giugno il Csm, su richiesta del ministro di Giustizia, ha collocato al ministero, non in posizioni apicali, due magistrate, veterane della politica, Anna Finocchiaro e Doris Lo Moro, non ricandidate alle scorse elezioni. Ha aderito, così, il Csm alla tesi, sostenuta insistentemente anche da questo giornale, secondo cui, al termine del mandato parlamentare, i magistrati non debbano essere assegnati a uffici giudiziari ma al ministero con funzioni amministrative.
OPERANDO in tal modo, il Csm ha evitato il ripetersi di quella situazione – che ha suscitato vivaci proteste – che ha riguardato la magistrata Donatella Ferranti la quale, dopo circa 18 anni di fuori ruolo di cui 10 come parlamentare del Pd, è stata assegnata alla Suprema Corte di Cassazione ove vengono “forgiati” i principi di diritto. Ma si è soprattutto evitato che due magistrati che da circa 30 anni non indossano la toga – la Lo Moro dal 1994, la Finocchiaro addirittura dal 1988 (prima che entrasse in vigore il “nuovo” codice di procedura penale che ha oramai quasi
30 anni) – potessero ancora amministrare Giustizia nei con- fronti di cittadini dubbiosi oramai della sicura terzietà delle magistrate, entrambe caratterizzate da un grandissimo impegno partitico e politico (Lo Moro: sindaco, assessore regionale, deputata, senatrice del Pd; Finocchiaro: consigliere comunale, candidata alla presidenza della Regione siciliana, deputata, senatrice, capogruppo al Senato del Pd, membro della segreteria e della direzione nazionale per il Pd, nonché membro del comitato nazionale per il Pd e, infine, ministro). Ora, a questo primo timido tentativo posto in essere dal Csm, deve seguire immediatamente una legge che – in attuazione di quanto previsto in quello che impropriamente viene definito “contratto” di governo secondo cui “il magistrato che vorrà intraprendere una carriera politica deve essere consapevole del fatto che, una volta eletto, non potrà tornare a vestire la toga” – vieti al magistrato, terminato per qualsiasi causa il mandato politico, di esercitare l’attività giurisdizionale consentendogli solo l’esercizio di funzioni amministrative presso il ministero di Giustizia senza possibilità di occupare posizioni apicali ( capo dipartimento, direttore generale, capo dell’ufficio legislativo, capo dell’ispettorato generale, ecc.). Sarà, in tal modo, possibile anche ritenere che il periodo in cui è stato espletato il mandato politico non venga considerato utile ai fini della progressione e dell’anzianità di servizio, così abolendosi quelle improprie ( ma sempre lusinghiere), valutazioni di professionalità con le quali si è riconosciuta al magistrato fuori ruolo – che per anni e anni non ha redatto una sentenza, non istruito un processo, non ha tenuto un’udienza – l’i d oneità a svolgere funzioni direttive, anche superiori.
Con la medesima legge dovrà provvedersi a vietare che i magistrati possano essere collocati fuori ruolo, impedendo, quindi, loro la possibilità di assumere incarichi che prevedono addirittura la chiamata diretta del go- verno per svolgere il ruolo di capo di Gabinetto, direttore generale, capo dell’ufficio legislativo, consulente o esperto giuridico nelle ambasciate, negli organismi internazionali, nelle autorità di controllo (oltre che nelle giunte regionali), distacco che può durare addirittura dieci anni. In tal modo, da un lato si evita che, attraverso il “carosello” di incarichi, si stabilisca un improprio intreccio tra giustizia, politica, ministeri e stanze del potere e, dall’altro lato, si recuperano, all’attività giurisdizionale, i magistrati fuori ruolo.
ED È DAVVERO inaccettabile che vengano distolti dalle loro funzioni, per le quali (e solo per le quali) si è stati assunti, 200 magistrati per destinarli ad altre, diverse funzioni quando si è stati costretti – per non far crollare del tutto l’inefficiente sistema – a far ricorso a (mal retribuiti) giudici onorari al punto tale che il 50% (destinato ad aumentare al 70% per l’aumento delle competenze previsto dal D. Lgs. n° 116/2017) del contenzioso viene definito dai Giudici Onorari di pace (Gop, categoria che riunisce gli ex Got e i giudici di pace), e al punto tale, francamente inaccettabile, che in tutti i tribunali italiani l’accusa innanzi al tribunale penale monocratico è rappresentata dai viceprocuratori onorari (Vpo). Gop e Vpo che, nominati dal Csm, per anni esercitano le funzioni giurisdizionali e ciò nonostante che la Carta (art. 106) prescriva che “le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”.