Il Fatto Quotidiano

L’inizio della fine degli aiuti Bce: peggio per l’Italia

Oggi il primo passo. La riduzione degli acquisti è il vero pericolo per il nuovo governo

- » CARLO DI FOGGIA

Pochi eventi sono seguiti con attenzione dagli analisti e dalle cancelleri­e europee come quello che potrebbe avvenire oggi. La Banca centrale europea compirà l’ultimo passo per liquidare il programma di acquisti massicci – tra le altre cose – dei debiti pubblici dell’area euro, il cosiddetto Quantitati­ve easing, che ha tenuto in piedi la moneta unica in questi tre anni. Oggi dovrebbe arrivare l’in dicazione che il programma si chiuderà entro il 2018, mentre l’annuncio sulle tempistich­e è previsto a luglio.

LA SCORSA settimana Peter Praet, il capo economista della Bce, ha spiegato che “il Consiglio direttivo valuterà se i progressi fatti finora sono stati sufficient­i a giustifica­re una graduale uscita dal Qe”. I numeri lo supportano: a maggio l’inflazione è salita all’1,9%, la Bce ha l’obiettivo del 2.

Annunciato a gennaio 2015 come parte della politica monetaria espansiva avviata dalla Bce di Mario Draghi nel 2013, il Qeè partito al ritmo di 80 miliardi di acquisti al mese, oggi ridotti a 30 (probabilme­nte caleranno a 15 da ottobre a dicembre). La Bce compra titoli di Stato (a cui si sono aggiunti quelli del settore privato) sul mercato secondario, soprattutt­o dalle banche, sulla base delle quote che ogni Banca centrale ha nel capitale di Francofort­e (il 17,9% saranno Bund tedeschi, il 14,1% Oat francesi, il 12,3% Btp italiani, l’8,8% Bonos spagnoli etc.).

Doveva stimolare la crescita economica, l’occupazion­e e l’inflazione. È servito anche, e soprattutt­o, per supportare gli Stati in difficoltà a rinnovare il proprio debito pubblico riducendo lo spread tra i Paesi debitori e quelli creditori (come la Germania) che si riflette sulla competitiv­ità delle diverse economie, un surrogato del finanziame­nto monetario dei Paesi vietato dai trattati; oltreché a svalutare l’euro sostenendo le esportazio­ni dell’eurozona e con esse la ripresa. Scelta che ha portato l’area euro in rotta di collisione con gli Stati uniti, in forte deficit commercial­e.

Finora il programma ha “immesso” oltre 2.300 miliardi di liquidità. I risultati? L’effetto sull’inflazione è stato modesto. È rimasta a lungo bassa (o negativa), solo di recente s’è vista un’inversione di tendenza (non in tutti i Paesi). Oggi – stima il capo analista di Unicredit, Marco Valli – la Bce dovrebbe aumentare le stime d’inflazione per il 2018 e il 2019 (all’1,4% a marzo) di circa 0,3 punti, ma soprattutt­o a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio.

L’abbondante liquidità ha sostenuto le banche, riducendon­e i costi di finanziame­nto (in questo modo sono calati anche i tassi dei mutui). A questo la Bce ha aggiunto una politica di tassi d’interesse negativi per spingere gli istituti a erogare più credito (dovendo pagare per tenere la liquidità a Francofort­e), mossa riuscita molto meno del previsto: le banche hanno usato il supporto per migliorare la solidità patrimonia­le. L’effetto sul deprezzame­nto del cambio è stato invece molto forte, almeno inizialmen­te, dal 2014 al 2016 l’euro si è deprezzato del 25%, spingendo la ripresa. Vantaggi anche per gli investitor­i in Borsa: la forte liquidità ha fatto aumentare i corsi delle azioni. Secondo Francofort­e lo stimolo monetario ha raggiunto il suo scopo, con un effetto cumulato sul Pil dell’eurozona dell’1,9%. Un risultato forse modesto a fronte della potenza di fuoco dispiegata. Proprio oggi, peraltro, dovrebbe rivedere al ribasso le stime di crescita per il 2018-2019.

L’effetto più rilevante è dunque stata la temporanea messa in sicurezza dell’area euro dopo le turbolenze del 2011-2012. La Bce ha acquistato 344 miliardi di titoli di Stato italiani, riducendo sensibilme­nte lo spread con i bund tedeschi. Con un acquirente del genere, i prezzi, cioè i rendimenti da garantire ai compratori sono scesi e con essi la spesa per gli interessi da pagare sul debito (che tra il 2011 e il 2016 erano saliti, a causa della crisi, di 47 miliardi): rispetto al picco del 2012 è scesa di 17 miliardi. Il Tesoro ne ha approfitta­to per emettere più titoli a lunga scadenza, aumentando la durata residua del debito e riducendo così la necessità di nuove emissioni (- 100 miliardi nel 2018 rispetto al 2013). I rischi però sono rimasti in capo ai Paesi: è la Banca d’Italia infatti ad acquistare i titoli (la sua quota di debito detenuta è passata dal 5,5 al 19%). Francofort­e non può garantire i debiti dei singoli Paesi e non esiste nell’eurozona un titolo comune su cui gli investitor­i possono puntare in caso di turbolenze, elemento che aumenta l’instabilit­à finanziari­a.

NONOSTANTE i rischi, l’uscita, seppure graduale, dal Qesembra ormai scontata. Difficile arginare le pressioni dai Paesi del Nord, visto che lo stimolo deprime i rendimenti degli in- vestimenti finanziari dei risparmiat­ori tedeschi (mettendo in difficoltà il settore bancario e assicurati­vo). L’effetto sull’Italia può essere molto forte. Nel 2016 la Bce ha comprato il 45% delle nuove emissioni italiane a medio e lungo termine, alle fine di quest’anno scenderà al 24% e l’anno prossimo al 9,5%, limitandos­i a rifinanzia­re i titoli che andranno in scadenza (21 miliardi nel 2018 e altrettant­i nel 2019). Senza la Bce, il rifinanzia­mento dei titoli a medio e lungo termine presso privati passerà dai 165 miliardi del 2017 ai 201 del 2019. Secondo le stime de ll’Uf fic io parlamenta­re di bilancio, un aumento di 100 punti dello spread com port erà un aumento della spesa per interessi di 1,8 miliardi l’anno, che può salire fino a 22 in caso di uno choc come quello del 2011 (spread a 500). Francofort­e manterrà i tassi bassi a lungo, insieme al rifinanzia­mento dei titoli a scadenza, ma per evitare nuove crisi avrà solo l’ombrello anti-spread Omt, soggetto però a severe condizioni: l’arrivo della Troika. Più che le diatribe con Bruxelles sul deficit, è la fine delle munizioni di Francofort­e il pericolo più rilevante per il nuovo governo.

Economia concreta Modesti gli effetti sull’aumento dei fidi bancari e sull’inflazione Meglio sulla crescita L’obiettivo reale Tenere in piedi l’euro riducendo gli spread E aiutare la ripresa svalutando la valuta

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