L’inizio della fine degli aiuti Bce: peggio per l’Italia
Oggi il primo passo. La riduzione degli acquisti è il vero pericolo per il nuovo governo
Pochi eventi sono seguiti con attenzione dagli analisti e dalle cancellerie europee come quello che potrebbe avvenire oggi. La Banca centrale europea compirà l’ultimo passo per liquidare il programma di acquisti massicci – tra le altre cose – dei debiti pubblici dell’area euro, il cosiddetto Quantitative easing, che ha tenuto in piedi la moneta unica in questi tre anni. Oggi dovrebbe arrivare l’in dicazione che il programma si chiuderà entro il 2018, mentre l’annuncio sulle tempistiche è previsto a luglio.
LA SCORSA settimana Peter Praet, il capo economista della Bce, ha spiegato che “il Consiglio direttivo valuterà se i progressi fatti finora sono stati sufficienti a giustificare una graduale uscita dal Qe”. I numeri lo supportano: a maggio l’inflazione è salita all’1,9%, la Bce ha l’obiettivo del 2.
Annunciato a gennaio 2015 come parte della politica monetaria espansiva avviata dalla Bce di Mario Draghi nel 2013, il Qeè partito al ritmo di 80 miliardi di acquisti al mese, oggi ridotti a 30 (probabilmente caleranno a 15 da ottobre a dicembre). La Bce compra titoli di Stato (a cui si sono aggiunti quelli del settore privato) sul mercato secondario, soprattutto dalle banche, sulla base delle quote che ogni Banca centrale ha nel capitale di Francoforte (il 17,9% saranno Bund tedeschi, il 14,1% Oat francesi, il 12,3% Btp italiani, l’8,8% Bonos spagnoli etc.).
Doveva stimolare la crescita economica, l’occupazione e l’inflazione. È servito anche, e soprattutto, per supportare gli Stati in difficoltà a rinnovare il proprio debito pubblico riducendo lo spread tra i Paesi debitori e quelli creditori (come la Germania) che si riflette sulla competitività delle diverse economie, un surrogato del finanziamento monetario dei Paesi vietato dai trattati; oltreché a svalutare l’euro sostenendo le esportazioni dell’eurozona e con esse la ripresa. Scelta che ha portato l’area euro in rotta di collisione con gli Stati uniti, in forte deficit commerciale.
Finora il programma ha “immesso” oltre 2.300 miliardi di liquidità. I risultati? L’effetto sull’inflazione è stato modesto. È rimasta a lungo bassa (o negativa), solo di recente s’è vista un’inversione di tendenza (non in tutti i Paesi). Oggi – stima il capo analista di Unicredit, Marco Valli – la Bce dovrebbe aumentare le stime d’inflazione per il 2018 e il 2019 (all’1,4% a marzo) di circa 0,3 punti, ma soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi del petrolio.
L’abbondante liquidità ha sostenuto le banche, riducendone i costi di finanziamento (in questo modo sono calati anche i tassi dei mutui). A questo la Bce ha aggiunto una politica di tassi d’interesse negativi per spingere gli istituti a erogare più credito (dovendo pagare per tenere la liquidità a Francoforte), mossa riuscita molto meno del previsto: le banche hanno usato il supporto per migliorare la solidità patrimoniale. L’effetto sul deprezzamento del cambio è stato invece molto forte, almeno inizialmente, dal 2014 al 2016 l’euro si è deprezzato del 25%, spingendo la ripresa. Vantaggi anche per gli investitori in Borsa: la forte liquidità ha fatto aumentare i corsi delle azioni. Secondo Francoforte lo stimolo monetario ha raggiunto il suo scopo, con un effetto cumulato sul Pil dell’eurozona dell’1,9%. Un risultato forse modesto a fronte della potenza di fuoco dispiegata. Proprio oggi, peraltro, dovrebbe rivedere al ribasso le stime di crescita per il 2018-2019.
L’effetto più rilevante è dunque stata la temporanea messa in sicurezza dell’area euro dopo le turbolenze del 2011-2012. La Bce ha acquistato 344 miliardi di titoli di Stato italiani, riducendo sensibilmente lo spread con i bund tedeschi. Con un acquirente del genere, i prezzi, cioè i rendimenti da garantire ai compratori sono scesi e con essi la spesa per gli interessi da pagare sul debito (che tra il 2011 e il 2016 erano saliti, a causa della crisi, di 47 miliardi): rispetto al picco del 2012 è scesa di 17 miliardi. Il Tesoro ne ha approfittato per emettere più titoli a lunga scadenza, aumentando la durata residua del debito e riducendo così la necessità di nuove emissioni (- 100 miliardi nel 2018 rispetto al 2013). I rischi però sono rimasti in capo ai Paesi: è la Banca d’Italia infatti ad acquistare i titoli (la sua quota di debito detenuta è passata dal 5,5 al 19%). Francoforte non può garantire i debiti dei singoli Paesi e non esiste nell’eurozona un titolo comune su cui gli investitori possono puntare in caso di turbolenze, elemento che aumenta l’instabilità finanziaria.
NONOSTANTE i rischi, l’uscita, seppure graduale, dal Qesembra ormai scontata. Difficile arginare le pressioni dai Paesi del Nord, visto che lo stimolo deprime i rendimenti degli in- vestimenti finanziari dei risparmiatori tedeschi (mettendo in difficoltà il settore bancario e assicurativo). L’effetto sull’Italia può essere molto forte. Nel 2016 la Bce ha comprato il 45% delle nuove emissioni italiane a medio e lungo termine, alle fine di quest’anno scenderà al 24% e l’anno prossimo al 9,5%, limitandosi a rifinanziare i titoli che andranno in scadenza (21 miliardi nel 2018 e altrettanti nel 2019). Senza la Bce, il rifinanziamento dei titoli a medio e lungo termine presso privati passerà dai 165 miliardi del 2017 ai 201 del 2019. Secondo le stime de ll’Uf fic io parlamentare di bilancio, un aumento di 100 punti dello spread com port erà un aumento della spesa per interessi di 1,8 miliardi l’anno, che può salire fino a 22 in caso di uno choc come quello del 2011 (spread a 500). Francoforte manterrà i tassi bassi a lungo, insieme al rifinanziamento dei titoli a scadenza, ma per evitare nuove crisi avrà solo l’ombrello anti-spread Omt, soggetto però a severe condizioni: l’arrivo della Troika. Più che le diatribe con Bruxelles sul deficit, è la fine delle munizioni di Francoforte il pericolo più rilevante per il nuovo governo.
Economia concreta Modesti gli effetti sull’aumento dei fidi bancari e sull’inflazione Meglio sulla crescita L’obiettivo reale Tenere in piedi l’euro riducendo gli spread E aiutare la ripresa svalutando la valuta