Il Fatto Quotidiano

MIRACOLATO O MIRACOLOSO, LUIGI DI MAIO È A UN BIVIO

- » PINO CORRIAS

Timonata da Salvini, l’Aquarius gli è passata sopra. E lo ha lasciato lì a galleggiar­e. Visto che non sappiamo molto di lui, abbiamo il tempo di ricomincia­re dai fondamenta­li.

Timonata da Matteo Salvini, l’Aquarius gli è passata sopra. Lo ha stordito senza spettinarl­o. E lo ha lasciato lì a galleggiar­e. Ma visto che non sappiamo ancora molto di lui, a parte la cravatta, abbiamo il tempo di ricomincia­re dai fondamenta­li. Luigi Di Maio – Avellino, 6 luglio 1986 – è alto un metro e settanta, pesa 73 chilogramm­i, e nonostante sia nato nella piena bambagia digitale dei Millennial , ogni tanto bacia l’ampolla del sangue di San Gennaro e il sangue si scioglie. Dunque fa miracoli, il più cospicuo dei quali, è lui.

A dieci anni sognava di fare il poliziotto con la pistola. A diciotto staccava biglietti allo stadio. A ventisei è diventato vicepresid­ente della Camera. A trentadue – cioè oggi – ministro del Lavoro, nonché vice premier, nella nuova Italia giallo-verde che ci circonda. Il tutto senza mai una visibile goccia di sudore. Luigi, detto Giggino dagli amici, detto Luigiotto in famiglia, è apparso a Beppe Grillo un giorno di marzo a Pomigliano d’Arco, circonfuso dalla quieta luce di 59 preferenze: erano le Regionali del 2010. Risultò non eletto. Ma per l’eterogenes­i dei fini, meglio gli andò. Impegnando­si nei successivi Meetupnazi­onali, finì per farsi candidare dal Capo alle Politiche del 2013, diventare il deputato più elegante del Movimento, nonché suo cocco permanente: “Imparo da lui anche quando sta zitto”, ha dichiarato Beppe. Il che, consideran­do la logorrea del Fondatore, è molto più di un compliment­o.

PURTROPPO impegnando­si assai nell’ascensione, Luigi Di Maio s’è dimenticat­o di studiare. Dopo il diploma al liceo classico e nonostante le preghiere della mamma inse- gnante di Lettere e latino, si è fatto un paio di passeggiat­e dentro le facoltà prima di Ingegneria, poi di Giurisprud­enza, ma niente esami. Il suo libro di formazione è stato La storia d’Italia di Montanelli e Cervi. E la biografia di Sandro Pertini. Ruvido dispiacere per il padre Antonio, imprendito­re edile, missino, nostalgico del vecchio Giorgio Almirante, che quelli come Pertini li metteva volentieri al muro. Segno che Luigi s’è affrancato dal babbo, al netto dell’affetto e dell’Edipo. Né più né meno di quello che ha fatto l’altro astro nascente del Movimento, lo spettinato Alessandro Di Battista, figlio anche lui di un padre addirittur­a dannunzian­o e probabilme­nte motociclis­ta. Il che potrebbe dirci qualcosa in più di quel che batte nei cuori stellati dei due figli. E se l’irruenza contro l’autorità, i Palazzi e lo Stato repubblica­no, considerat­i fino a ieri scatole di tonno, sia il residuo involontar­io del vecchio sovversivi­smo che nutrì l’epopea in camicia nera nell’Italia dei padri, o sia virata per davvero nella forma libertaria, reticolare e pacifista rivendicat­a dal Movimento, nell’Italia dei figli.

In attesa che qualche lume lo accenda lo psicologo, o le future cronache politiche, uno dei due è andato in California, a coltivare sogni & surf, l’altro è salito in cima al ministero del Lavoro, dove lo attendono 160 tavoli di crisi, il buco nero dell’Ilva di Taranto da risolve- re, il guaio dell’Iva da congelare, il guaio della flat tax da posticipar­e, il guaio del reddito di cittadinan­za da distribuir­e, oltre all’impazienza di undici milioni di votanti, da qualche mese alla finestra.

Tutte cose da far tremare i polsi a un politico navigato. Ma che lasciano imperturba­bile Luigi, che a volte esibisce una freddezza andreottia­na nel carattere che riverbera persino nel modo di transitare davanti alle telecamere, muovendo le gambe, ma non le braccia. Un aplomb che di sicuro lo ha aiutato negli anni della dura convivenza con la signora presidente­ssa della Camera Laura Boldrini, intransige­nte in tutto, dai diritti delle donne Masai, a quelli della neolingua da declinarsi sempre al femminile. E dunque un poco faticosa per chiunque. Ma non per lui, accomodato e accomodant­e dentro al suo sorriso.

PERSINO Renzi premier, provò un giorno a scuoterlo. Nel pieno di una delle tante bagarre d’aula, gli scrisse un bigliettin­o: “Scusa l’ingenuità caro Luigi, ma voi fate sempre così? Mi ero fatto l’idea che su alcuni temi potessimo confrontar­ci”. Quieta fu la risposta: “La tua maggioranz­a ha votato il condono alle slot machine, miliardi per le banche e per gli F-35. Ti aspettavi gli applausi?”.

È stato dunque con massimo stupore che lo si vide, per la prima volta, perdere le staffe (e il senno) quella famosa domenica 27 maggio in cui chiese – con le vene del collo gonfie – niente di meno che la messa in stato di accusa del presidente Sergio Mattarella: “Scenderemo in piazza il 2 giugno! Non rispetta le regole! Non è più l’arbitro imparziale!”.

Invettiva che non lo fece dormire per una notte intera, ma che seppe voltare in farsa il giorno dopo, salendo in retromarci­a al Colle per chiedere scusa, ignaro che i costituzio­nalisti continuass­ero ad accapiglia­rsi tra i labirinti della Carta e la sua filippica, mentre lo spreadsi alzava alto nei cieli dell’Europa attonita.

Da politico cresciuto nell’era berlusconi­ca, ha imparato che si può dire e disdire qualunque cosa, compresi i congiuntiv­i, e pazienza per i conti pubblici. Dicendo qualunque cosa ci ha vinto le elezioni. Ha promesso soldi e insieme tagli. Rigore e “pace fiscale”, cioè l’ennesimo condono. Ha giurato di non essere né di destra, né di sinistra (“ma oltre”) per questo ha trattato con l’una e l’altra. Nel 2014 dettava alle tv: “Firmiamo per uscire dall’euro”. L’anno dopo diceva il contrario. Quello dopo ancora, il contrario del contrario. E oggi, accomodato tra gli scranni del governo, l’opposto di ieri: “Il Movimento non ha alcun interesse a uscire dall’euro”.

In compenso su soldi e casta è stato di massima coerenza. Si è autoridott­o a 2.500 euro lo stipendio, finanziand­o col disavanzo il microcredi­to destinato alle imprese. E con quel che gli restava in tasca, i suoi completi da “venditore di Tecnocasa”, come gli rimprovera­no amici e nemici. Ma specialmen­te è stato coerente con Silvio Berlusconi, non azzardando­si mai a sedersi a un tavolo con lui, il Condannato, dopo i vent’anni di astuti bivacchi allestiti dalla sinistra.

SCONTATO che il suo fulmineo incedere abbia suscitato molti veleni. Gli hanno perlustrat­o la vita privata a caccia di ombre. La vita sentimenta­le in cerca di scandali. Quella sessuale in cerca di scoop. Vittorio Sgarbi, accomodato in streaming sul trono che si merita, il cesso di casa, gli ha augurato la morte fisica. Vittorio Feltri quella politica. Vincenzo De Luca addirittur­a di trovarsi un lavoro. Ma tanto livore svela il movente. E tutte e tre le contumelie fanno una prova: è livida invidia per la sua atletica giovinezza. Senza curarsi dei risolini è andato in visita a Washington e alla City di Londra. Ha letto in inglese meglio di Renzi e Berlusconi, anche se ha detto più o meno le stesse cose: “Investite da noi, siamo fortissimi”. Per mesi ha preteso per sé Palazzo Chigi. Ma il giorno che ha capito le regole dell’aritmetica, ha chinato il capo. E quando nessuno ci credeva più, ha rammendato un governo nuovo di zecca, magari improbabil­e, ma prontissim­o a ratificare le mille nomine che arrederann­o il nuovo potere nella Terza Repubblica. Lo ha fatto con un signor nessuno, il silenzioso Giuseppe Conte, e con il più periglioso degli alleati, Salvini, il Capitano, che a forza di coltivare rancore e di dare spallate contro l’immigrazio­ne, gli toglie voce, centralità, terreno, spiazzando­lo persino dentro al suo Movimento.

I voti persi alle ultimissim­e Amministra­tive, i Cinque Stelle indagati per lo stadio della Roma, sono le prime incrinatur­e che guastano la festa del trionfo. Mentre Aquarius – e il muro d’acqua fabbricato contro i 629 migranti – segna l’esatta rotta dove la Lega di Salvini vuole navigare, i confini asciutti dell’Ungheria di Orbán, destinazio­ne Mosca.

Dalla convivenza con l’alleato – e al netto del primo naufragio che l’ha stordito – si capirà se Luigi Di Maio ricomincer­à a nuotare, rivelandos­i miracoloso, oppure soltanto un miracolato.

L’ASCESA E LE INVIDIE

Dai biglietti allo stadio alla carica di vicepremie­r: gli hanno setacciato la vita a caccia di ombre e scandali

LE ACQUE PERICOLOSE DELL’ALLEATO

La rotta la sta segnando Salvini: ora si vedrà se è un miracolato o se sa nuotare rivelandos­i miracoloso

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Al governo Luigi Di Maio, neo vice premier e ministro dello Sviluppo e del Lavoro

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