Bar, benzinai e ville: sequestrato l’ultimo tesoro dei Graviano
I proventi delle attività servivano per finanziare la famiglia. I capitali iniziali di cugini, cognati, suoceri e una nonna di una ventina di affiliati della cosca non avevano provenienza lecita
Cinque distributori di benzina con bar tabacchi piazzati nelle vie di accesso a Palermo, appartamenti, terreni, box, villini e persino un parcheggio annesso all’hotel San Paolo, l’albergo (oggi confiscato) con uno spettacolare ascensore esterno con vista mare, che ha ospitato per anni la madre e la sorella dei fratelli Graviano in una delle sue suite: i giudici della sezione misure di prevenzione di Palermo confiscano un’altra consistente fetta del tesoro di Giuseppe e Filippo Graviano (oltre 10 milioni di euro), i boss stragisti di Brancaccio detentori dei segreti sulla stagione delle bombe del ’92-’94.
L’ULTIMA rivelazione è di dieci giorni fa, pubblicata da questo giornale: “Mio cugino frequentava Berlusconi” – ha detto Giuseppe Graviano, incontrando in carcere nel dicembre scorso Fiammetta Borsellino, la figlia del giudice ucciso in via D’Amelio con cinque agenti della scorta. La parte del tesoro dei Graviano colpita ieri era sfuggita ai giudici di merito, che avevano assolto con il dubbio (art. 530 secondo comma) i fratelli Graviano (Filippo e Benedetto) e uno dei prestanome, Angelo Lo Giudice, dall’accusa di trasferimento fraudolento di valori basata sulle dichiarazioni dei pentiti Fabio Tranchina, Gaspare Spatuzza e Fabrizio Iannolino. Gli stessi elementi, rivalu- tati dai giudici delle misure di prevenzione, la cui normativa prevede una soglia probatoria più bassa e l’inversione dell’onere della prova, hanno consentito di stabilire che i proventi delle attività servivano per finanziare la famiglia Graviano e che, soprattutto, i ca- pitali iniziali di cugini, cognati, suoceri e persino una nonna di una ventina di affiliati della cosca di Brancaccio non avevano una provenienza lecita, poiché tutti i soggetti finanziatori delle attività o delle compravendite risultavano impossidenti o nullatenenti godendo, nonostante ciò, di un singolare credito da parte delle società petrolifere: è il caso, scrivono i giudici, di Vincenzo Lombardo, titolare dell’impianto IP di via Giafar, “in pregressi rapporti con soggetti come Rosa Bompasso e Angelo Lo Giudice, intestatari di attività operanti nello stesso settore e nella disponibilità dei Graviano’’ e “senza i mezzi per avviare alcuna attività di impresa’’.
Nonostante ciò la Agip Petroli Spa “ha concesso gratuitamente l’uso dell’impianto (cfr. contratto datato 30 maggio 2002) a Lombardo – è scritto nel provvedimento di confisca – che non poteva disporre di alcun importo neppure per l'acquisto dei beni strumentali minimi per lo svolgimento dell'attività”.
NON SOLO, ma in quel caso Lombardo “si è obbligato al pagamento immediato dei prodotti petroliferi a lui forniti per la vendita, da ordinare in quantità tali da mantenere l’impianto adeguatamente provvisto fino al successivo rifornime nt o’’ . Chi gli dava il denaro? Per i giudici è un elemento “d ir im en t e ’’ per la confisca, visto che è “del tutto irrilevante che la sua proposta di prendere in gestione l’impianto sia stata accettata dalla Società petrolifera in ragione della sua esperienza nel settore’’, come emerge da una lettera dell’Eni del 23 marzo 2012 prodotta dalla difesa.
A Palermo Il patrimonio individuato dai giudici di prevenzione supera i 10 milioni