Il Fatto Quotidiano

IL CALCIO E IL MALAFFARE: ANCHE MILANO È A RISCHIO

- » MARCO BENTIVOGLI* E DON VIRGINIO COLMEGNA**

Quando ci sono persone che si trovano in una difficoltà e di rischio per la propria vita, come stare stipati da giorni su una nave in mezzo al Mediterran­eo, quello di intervenir­e e trarre in salvo vite dovrebbe essere un atto spontaneo e profondo. Quando ciò non accade, allora vuol dire che si è talmente carichi delle proprie convinzion­i e dei propri tornaconti da non riconoscer­e più nell’altro una persona come me, nata solo in un altro posto e in un altro tempo. Certo, l’Europa e molti Paesi europei sono stati ipocriti e assenti, ma il Mediterran­eo è diventato il cimitero più grande della terra e tutte le irresponsa­bilità della politica non giustifica­no altri morti in mare.

PER UNA PARTE dell’opinione pubblica, quelle vite sui barconi rischiano di ridursi a mere immagini televisive avvolte da una dimensione quasi spettacola­re, ma che non tocca più il piano emotivo. Invece, bisogna lasciarsen­e commuovere perché la commozione è un sentimento profondame­nte umano. Non si deve mai dimenticar­e che là sopra ci sono singoli individui, ognuno con un nome, una storia, dei genitori che li hanno messi al mondo, fratelli, sorelle, una comunità che li ha visti crescere, un vissuto di relazioni ed esperienze, un futuro di sogni e aspettativ­e. E se ora sono in cammino verso un al- tro approdo, dopo aver già patito tanto in termini di sofferenza, è perché ci sono motivi che non hanno lasciato loro altra scelta.

ALLA POLITICA, quella che non si fa con i muri e con i rifiuti ma che punta alla costruzion­e di un “noi” fatto di legami e bene comune, va chiesto di gestire i problemi attraverso la ricerca di risposte possibili, impegno diplomatic­o, soluzioni condivise. Salvare vite umane dovrebbe essere più di un dovere: è una conseguenz­a stessa dell’appartener­e al genere umano. E per noi, come uomini di fede, tendere la mano a chi è più povero e indifeso è vivere pienamente il Vangelo. Matteo 25, 35-36, è chiaro e non è interpreta­bile a seconda della convenienz­a: “Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero fo- restiero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi”. È empatia e solidariet­à senza sconti o distinguo. Cattolici o no, sono parole che tracciano una linea netta fra chi crede che niente possa farci rinunciare a riconoscer­e gli altri come fratelli e sorelle e chi, invece, non ci crede.

Così come non era solo nero di pelle, Soumalya Sacko, ucciso a colpi di fucile qualche giorno fa, né solo ultimo tra gli ultimi, bracciante agricolo maliano, abitante nel vibonese, in Calabria. Soumalya Sacko era anche un sindacalis­ta. Era il simbolo dell’emancipazi­one dalla segregazio­ne, dal razzismo, dallo sfruttamen­to e dall’indigenza e, nel contempo, della rivendicaz­ione collettiva da parte di gruppi sociali che acquisisco­no coscienza di sé e dell’ingiustizi­a che subiscono. Ma nessuno sembra abbia colto il senso profondo della sua morte. Sako e Aquarius sono due simboli e segnano uno spartiacqu­e fra umanità e crudeltà.

A queste Paese servono soluzioni e regole certe per tutti e servono politici che si occupano con serietà di quelle soluzioni. Negare i disagi degli italiani nelle periferie per assenza di politiche di integrazio­ne e di contrasto alla criminalit­à è un errore fatale, ma spaventare le persone non le rende più sicure, an- zi acuisce i disagi, mette i penultimi contro gli ultimi. Affrontare la questione significa occuparsi sin d’ora di temi prioritari, partendo da un’analisi accurata e oggettiva. Due fenomeni, fra loro connessi. Il primo: la popolazion­e dell’Africa passerà dagli attuali 1,2 miliardi a 4,4 miliardi nel 2100. Di questi, il 41 per cento sarà nella coorte tra i 0-14 anni. Almeno mezzo miliardo premerà per entrare in Europa. Se da subito non si lavora alla transizion­e demografic­a del continente africano, creando un sistema scolastico che dia gli strumenti culturali per farsi un’opinione e creare le condizioni di sviluppo, non ci sarà politica degli sbarchi e dei rimpatri in grado di reggere a questo flusso migratorio che non è arrestabil­e.

IL SECONDO: nel 2015 gli over 60 nel mondo erano già 901 milioni, nel 2092 aumenteran­no del 132 per cento; mentre dagli attuali 125 milioni di over 80 si passerà a livello planetario a 434 milioni, il +247%. Italia, Giappone, Francia, Germania sono tra i Paesi in cui la popolazion­e invecchier­à più rapidament­e (Italia e Giappone si giocano il primato). In Italia l’aspettativ­a di vita salirà a 93 anni. Si tratta di uno scenario inedito.

Vince l’avidità della società chiusa quando si fa credere a un povero che la causa dei suoi problemi siano quelli più poveri di lui. Occupiamoc­i delle persone, di tutte. Non rinunciamo alla nostra umanità e non lasciamo che quella paura ci impedisca di cambiare in meglio il mondo in cui viviamo. *Segretario Generale Fim Cisl **presidente Fondazione

Casa della carità

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