L’addio morbido agli aiuti della Bce: stop a fine 2018
AnnuncioFrancoforte terminerà il Quantitative easing nel 2018, ma senza strappi. Passa la linea morbida del presidente che ripete: “L’euro è irreversibile“
La banca centrale europea annuncia la fine del Quantitative easing, gli acquisti straordinari di titoli di Stato. Il debito pubblico italiano rischia di diventare più oneroso
Alla fine l’annuncio arriva, netto. La Banca centrale europea chiuderà lo stimolo monetario espansivo entro il 2018. Lo ha deciso ieri il consiglio direttivo della Bce riunito a Riga ( Lettonia). Il “Quantitative easing”, il programma di acquisti massicci dei debiti pubblici (e bond privati) dei Paesi dell’eurozona avviato a marzo 2015 si ridurrà da 30 a 15 miliardi di acquisti mensili da settembre, per poi concludersi a dicembre. Con un complesso lavoro diplomatico Mario Draghi ottiene dal consiglio direttivo di Francoforte il compromesso auspicato dai Paesi più vulnerabili (Italia in testa). E quasi a compensarlo ha avvisato il nuovo governo di Roma: “Mettere in discussione l’euro non conviene a nessuno”,
I PAESI del Nord, guidati da Berlino ottengono la fine del Qe, ma il presidente ottiene, per così dire, tutto il resto, con il voto “unanime” del consiglio. La Bce lascia invariati i tassi di interesse ai minimi storici e avvisa che non aumenteranno almeno fino a tutta “l’estate del 2019”, quindi non prima di settembre (il mercato si aspettava giugno). In pratica, mentre la Federal reserve Usa, che da tempo ha iniziato l’uscita dalle politiche espansive, rialzerà i tassi 4 volte quest’anno, Francoforte non si muoverà per oltre un anno mezzo. La Bce continuerà poi a rifinanziare i titoli acquistati che andranno in scadenza ( per l’Italia 21 miliardi nel 2019). Per entrambe le misure Draghi non ha fornito una data di scadenza. “Continueranno - ha spiegato - per un periodo prolungato dopo la fine degli acquisti netti, e per il tempo necessario a mantenere condizioni di liquidità favorevoli e un ampio margine di accomodamento monetario”, visto che “l’economia della zona euro ha ancora bisogno di “significativi stimoli monetari”. La Bce ha infatti rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2018 quando l’inflazione dovrebbe fermarsi all’1,7% (Francoforte ha il mandato di tenerla al 2).
Draghi ha ceduto a esplicitare subito la scadenza del Qe ma di fatto ne estende in qualche modo la vita introducendo il concetto che, almeno per ora, il bilancio della Bce (2.400 miliardi immessi nel sistema) rimarrà gonfiato per tutto il tempo necessario. “La vita non tornerà alla normalità presto e all’improvviso”, scrive l’ex capo economista del Tesoro Lorenzo Codogno in un report di Lc Macro advisors. Draghi ha anche lasciato aperta la porta a un ripristino del Qe se dovesse servire: “N on sta scomparendo, rimane parte della scatola degli attrezzi della Bce”. Una linea che secondo la £euters non è unanime nel consiglio. Diversi membri avrebbero anche voluto un’indicazione precisa sul primo rialzo dei tassi, come la tedesca Sabine Lautenschläge.
IL COMPROMESSOdi Draghi è stato ben accolto dai mercati. L’annuncio sui tassi e i riacquisti hanno ulteriormente deprezzato l’euro sul dollaro: una spinta per la crescita dell’eurozona guidata dalle esportazioni ma che aumenterà gli attriti con gli Usa di Donald Trump. Le Borse europee hanno chiuso in rialzo e lo spread tra i Btp italiani e Bund tedeschi è rimasto stabile a 232 punti. Un segnale positivo per l’Italia, il Paese che - con 380 miliardi di debito da rifinanziare nel 2019 - è il più esposto alla fine dello strumento che ha tenuto in piedi l’eurozona in questi anni anestetizzando gli spread.
Non è un caso che Draghi abbia speso parole molto nette per ridimensionare i rischi provenienti da Roma. Sollecitato dai giornalisti, ha ridimensionato le turbolenze finanziarie nate dopo la crisi istuzionale aperta dal rifiuto di Sergio Mattarela di nominare l’economista euroscettico Paolo Savona al Tesoro a un “episodio locale”, ha negato ci siano rischi di contagio per l’eurozona e di ridenominazione”, la paura degli investitori che l’Italia possa uscire dall’euro e rimborsare il debito in una moneta svalutata. “È importante che il dibattito sull’euro resti all’interno dei trattati - ha spiegato - L’euro è irreversibile perché è forte, la gente lo vuole e nessuno avrebbe benefici dal metterlo in discussione”. Nessuno lo crede davvero, ma così Draghi ha inteso tracciare il solco per l’azione (e le rivendicazioni) del nuovo governo M5S-Lega. Il compromesso raggiunto durerà, forse, fino all’autunno 2019, quando lascerà il mandato.
La moneta unica è forte, perché la gente la vuole e nessuno avrebbe benefici a metterla in discussione