Il Fatto Quotidiano

Il troppo potere e la botta di Roma: processo a Di Maio

L’assembleaP­rotesta dei nuovi e degli ortodossi per le scelte calate dall’alto e per le nomine tutte ad appannaggi­o del cerchio del leader

- » LUCA DE CAROLIS

Luca Lanzalone era solo un avvocato genovese. Ma ora è una ferita che diventerà una cicatrice, per i Cinque Stelle. Ed è anche uno specchio, che riflette la solitudine del capo, Luigi Di Maio, il 31enne di Pomigliano che è tutto una carica: capo politico, vicepremie­r, ministro con deleghe plurime. Però anche da lassù sente addosso il malumore e gli sguardi pesanti di diversi eletti, vecchi e nuovi.

QUELLI CHE DICONO e ripetono che “Lanzalone nel Movimento l’ha portato Alfonso Bonafede”. E l’obiettivo è duplice. Innanzitut­to sottrarre al fuoco delle polemiche Beppe Grillo e Davide Casaleggio, che però con l’avvocato ha cenato perfino martedì sera, a pochi passi dal Senato. A un tavolo dove c’erano diversi maggiorent­i del M5S, compreso il fedelissim­o Pietro Dettori, ora a Palazzo Chigi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Ma soprattutt­o infierire su Di Maio, mordendo il più fidato dei suoi uomini, il Guardasigi­lli Bonafede.

Pensieri e parole che fanno rima con l’agitata assemblea di ieri dei deputati alla Camera. Dove in diversi, soprattutt­o nuovi eletti, hanno preso la parola per lamentare che “non c’è condivisio­ne” e che “troppo spesso le decisioni vengono calate dall’alto”. Tanti volevano votare il nuovo Direttivo, svuotato dalle nomine di governo. E invece nulla, perché come da statuto il pacchetto di nomine era già stato deciso dal capo, da Di Maio. E i deputati hanno potuto solo ratificare l’ascesa al ruolo di vicecapogr­uppo vicario dell’ortodosso Giuseppe Brescia, un chiaro segnale alla minoranza di sinistra, e la nomina a viceca- pogruppo di Federica Dieni, che affiancher­à Azzurra Cancelleri. Mentre i nuovi Cosimo Adelizzi e Davide Zanichelli saranno delegati d’Aula. Ma la sostanza è il clima, con le proteste dei debuttanti. Silenti sulla grana di Roma, ma vogliosi di democrazia interna. Co- me Luigi Gallo, deputato riconferma­to vicinissim­o a Roberto Fico, che contesta gli effetti del nuovo Statuto che fa decidere più o meno tutto a Di Maio. Un testo in buona parte scritto proprio da lui, da Lanzalone. Ed un’altra conferma del suo peso.

L’ennesima prova, come il fatto che a difendere il M5S in una causa a Genova, intentata dai vecchi iscritti contro la nuova associazio­ne Movimento 5 Stelle per reclamare l’uso del simbolo, sono proprio legali dello studio dell’avvocato ligure. Lo sa bene Di Maio. Come sa che in parecchi contestano anche le nomine di governo. A partire dai nuovi, che gemono a voce alta: “Non ci hanno valorizzat­o, hanno preso solo dalla vecchia guardia, il gruppo dirigente ha chiuso ai nuovi arrivati”. Per continuare con i veterani, che sibilano: “Hanno scelto solo lombardi e campani”. Perché il potere, ottenuto o mancato, può avere anche connotati geografici.

E ALLORA (alcuni) calabresi sono arrabbiati perché “nonostante 18 parlamenta­ri e una grande percentual­e alle Politiche non hanno nominato nessuno di noi”. Cronache dal malessere. Ma pure scorie di governo. Perché chi decide è sempre solo, e spesso paga dazio. Compreso Di Maio, su cui ora molti dei suoi sparano anche perché lo vedono debole nei confronti del Salvini che gioca a fare il premier, scappando in avanti. E lo ha fatto anche sull’uso del contante, aprendo all’abolizione del limite.

E NON A CASO ieri mattina Di Maio ha subito fatto muro: “Nel contratto questo punto non c’è, lavoriamo su altri fronti”. Un segnale al leghista, certo, a cui il capo del Movimento ha già chiesto di “rallentare”. Ma anche ai suoi, per mostrare che lui, il leader, non è succube dell’altro contraente del patto di governo. Intanto per rilanciare ha annunciato il decreto di dignità, fitto di proposte per i precari e contro il Jobs Act e il gioco d’azzardo. Buona mossa, sui temi. Però Lanzalone è sempre un macigno. E pesa, eccome, pure sul capo, che infatti in mattina parlando a Rtl infila una frase un po’ così: “L’avevamo premiato con la presidenza di Acea per il lavoro fatto, perché ci aveva aiutato a salvare l’azienda dei rifiuti di Livorno e poi era stato brillante nello sbloccare la situazione dello stadio a Roma”. Però “chi sbaglia paga e ora si deve dimettere”.

Tuttavia l’accenno al premio suona infelice. E infatti ore dopo prova a correggers­i: “Quello sul premio è tutto un grande equivoco”. Poi svicola via. E diserta Porta a Porta, lieto di lasciare spazio alla sindaca Raggi. Dietro di lui, le voci di dentro. “Luigi non può fare tutto, serve una struttura che coordini il M5S”. È l’idea della casa madre di Milano. E di diversi parlamenta­ri, anche dimaiani. Ma il capo nicchia. Oggi dovrebbe incontrare viceminist­ri e sottosegre­tario. Mentre è atteso a Roma il fondatore, Grillo. Voglioso di sapere. E forse di mettere ordine.

Imbarazzo del Capo

Il vicepremie­r sa che l’ex presidente di Acea è coinvolto pure nelle cause sul simbolo dei 5 Stelle

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Ansa In difficoltà Luigi Di Maio

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