Quel pasticciaccio brutto di via Almirante
Pensieri, opere e parole dell’uomo a cui la Capitale ha rischiato di intitolare una strada
Roma
non avrà una strada dedicata a Giorgio Almirante. Dopo il pasticcio di giovedì sera, Virginia Raggi ha bloccato tutto. E alla prossima assemblea capitolina i 5 Stelle presenteranno una mozione che vieta l’intitolazione di strade di Roma ad esponenti politici con idee riconducibili al disciolto partito fascista o a persone che si sono esposte con idee antisemite e razziste. Il problema è che il voto in Campidoglio c’è stato e l’Aula è sovrana: per tornare indietro bisogna votare un’altra volta e avverrà con una mozione.
Nel frattempo la sindaca è stata sommersa da critiche: da sinistra, da destra (per il dietrofront) e dalla comunità ebraica. Perché è proprio il razzismo e l’antisemitismo a rendere impossibile nella Capitale una strada dedicata allo storico segretario dell’Msi. Che, da giovane fascista, nel 1938 fu caporedattore di Tevere e, in seguito, segretario di redazione de La difesa della razza. Sono le riviste di Telesio Interlandi, che inneggiano al razzismo e all’antisemitismo, facendo da sponda, in Italia, al nazismo hitleriano.
SEMPREnel 1938 Almirante aderì al Manifesto della razza, documento che diede una veste politico-culturale alle leggi razziali. E Roma non solo è la città della strage delle Fosse Ardeatine (24 marzo 1944), ma anche quella del rastrellamento al ghetto ebraico di 1.269 persone ( 16 ottobre 1943). “Il razzismo ha da essere cibo di tutti e per tutti, se veramente vogliamo che in Italia ci sia, e sia viva in tutti, la coscienza della razza…”, scriveva Almirante nel maggio 1942. Il segretario missino, che di strade e piazze in giro per l’Italia ne conta diverse, ha poi a- biurato il suo passato razzista, rivendicando però il suo essere fascista. Dopo l’8 settembre aderì alla Repubblica Sociale, nel 1945 visse un anno in clandestinità per poi ricomparire nel 1946 e fondare Il Movimento Sociale, di cui fu il primo segretario. Negli Anni 50, però, dovette cedere la guida al suo avversario storico Arturo Michelini. “Per insultarlo gli diedi davanti a tutti dell’antifascista!”, ha raccontato Almirante a Giovanni Minoli. Tornò segretario nel 1969, carica che manterrà fino all’87, anno precedente la sua morte.
Nella sua vita politica Almirante è stato abilissimo a mescolare le reminiscenze fasciste con la vita democratica: do- po i fatti di Genova del 1960 (con la reazione violenta di gruppi di sinistra per impedire lo svolgimento del congresso Msi e la repressione della polizia del governo Tambroni), inaugurò la “politica del doppiopetto”, ovvero l’accettazione della vita democratica e il sostegno, se richiesto, ai governi Dc. “Non rinnegare e non restaurare”, è il suo motto. Nel 1972 l’Msi ottenne il suo massimo storico: 9%. I giorni seguenti al golpe in Cile di Pinochet del 1973 Almirante auspicò una soluzione simile anche in Italia. Nel 1981, invece, avanzò una proposta di legge per ripristinare la pena di morte. Indagato diverse volte per ricostituzione del partito fa- scista, rimasero invece solo sospetti un suo presunto coinvolgimento nel golpe Borghese e i rapporti con l’eversione nera.
Abilissimo oratore (a un comizio in Trentino parlò per 9 ore), adorato dalle folle destrorse, occhio azzurro e baffo sornione, Almirante tenne viva in epoca repubblicana la fiamma mussoliniana e incarnò alla perfezione la figura del leader della destra post fascista. Sposato in seconde nozze con Raffaella Straman dinoli, detta Donna Assunta, nel 1987 scelse come suo delfino il 35enne Gianfranco Fini, preferendolo a Pino Rauti. A quel punto la destra italiana era già cambiata.
Città del Ghetto Militare durante la Repubblica Sociale, prima della guerra lavorò a “La difesa della razza”