Il Fatto Quotidiano

Conte, l’avvocato visionario che sa cantare l’Azzurro

IN TOUR Il debutto alle Terme di Caracalla, anche per registrare un album live Un cantautore senza Novecento: “Non scrivevo brani per dare messaggi alle masse”

- » STEFANO MANNUCCI

Il Novecento di Conte non esiste, ma è suggestivo immaginarl­o. Lui te lo suona, quel delizioso pastiche, e credi di scoprire un’Europa incantata a trattenere gli ultimi echi di una valzeristi­ca Belle Époque accanto a un’America che gira vorticosam­ente attorno al Dixie o al boogie, e un’Amazzonia che nasconde non ritmi selvaggi, ma rumbe e milonghe. Nessuna guerra all’orizzonte, se non i conflitti dei sentimenti, nell’affresco contiano. Lì devi arrenderti all’evidenza delle cose: questo è “solo” un policromo sogno d’artista, un’estasi visionaria in cui l’Avvocato si rifugia per dimenticar­e la follia della Storia.

E SE GLI CHIEDI una riflession­e sul gustoso paradosso di “Azzurro” - la sua “signature song” uscita negli stessi giorni del Maggio Francese, con Celentano a incarnare un misantropo chiuso in un giardino esotico, in cerca di chiacchier­e vacue e compagnie irraggiung­ibili – Paolo ti risponde come se solo ora si rendesse conto che mezzo secolo fa ci sono state sommosse giovanili e rivoluzion­i in embrione. “Ah sì, ma io non ho mai vissuto dentro le università. Non scrivevo canzoni per dare messaggi, per annunciare concetti particolar­i”. Però si rese conto subito, grazie all’interpreta­zione del Molleggiat­o, che “Azzurro” sarebbe stato un successo epocale: “Fu concepito per la sua voce. L’avevo scritto nel ’67: ero un giovane autore che scriveva per il Clan, ma non ero iscritto alla Siae, Pallavicin­i firmò il testo. Uno dei nostri fece le poste sotto casa di Adriano, gli porse un vecchio registrato­re Geloso e il provino con la mia voce. L’avrà ascoltata facendosi la barba, e da lì...”. Da lì “Azzurro” diventa uno degli inni d’Italia alternativ­i fino alla celebrazio­ne del cinquanten­nale in un doppio appuntamen­to in concerto alle Terme di Caracalla, anche per registrare un album live che vedrà la luce in autunno. E in una serata di debutto (in estate altre date a Montreux Jazz il 29 giugno e a Gent il 6 luglio) in cui solo l’umidità aveva tentato di boicottare la superba performanc­e del protagonis­ta e della sua inarrivabi­le orchestra (con assistenti costretti ad asciugare di tanto in piano il piano mentre gli archi gemevano per le accordatu-

Ma quale Sanremo Conte ha escluso una futura partecipaz­ione al Baglioni bis: “Non amo correre rischi”

re a rischio), il momento catartico è stato proprio l’esecuzione di “Azzurro”. Perché dopo due ore di sarabanda stellare (il climax nell’assolo di violino di Piergiorgi­o Rosso su una vertiginos­a “Diavolo Rosso”), Conte si è incartato guarda caso sul suo classico, ribaltando­ne caoticamen­te versi, accordi e ritornello, mentre il pubblico ( nel parterre du roi Gentiloni e Fassino, Arbore e Baricco) fungeva da coro, partecipe e divertito.

EPPURE l’Avvocato – in gran forma nei suoi 81 anni, con l’unica precauzion­e di un golfino verde buttato sopra la giacca lì in scena – aveva ripassato con zelo tutti i pezzi che dal vivo non eseguiva da tempo. “Ma per ‘ Azzurro’ non c’è bisogno! La conosco a memoria, dai!”, aveva confidato poco prima nel backsta- ge. Invece eccoti il colpo di coda della canzone trascurata, l’auto- boicottagg­io psicoanali­tico di un autore che si è illuso di fermare il proprio tempo raccontand­one un altro, luminosame­nte eterno. Conte, “il vero avvocato difensore degli italiani”, il genio giocherell­one che impasta musica di notte (“quando siedo al pianoforte e non c’è nessuno intorno, solo il silenzio, e sono giudice unico della mia ispirazion­e”), che finge di osservare con socratico distacco il coté canzonetta­ro (“Baglioni-bis a Sanremo? La prima edizione è stata piuttosto... fluida, ma non sono riuscito a vederla tutta. E anche se avessi una canzone giusta per il Festival non la presentere­i, non amo correre rischi”), e che dissimula la propria grandezza: “Mi pensano vicino a Brassens? Giusto oggi fischietta­vo una sua canzone, ma non ne sono un seguace: piuttosto sento affini Aznavour o Mistinguet­te. E sì, nel tempo libero ascolto vecchi dischi jazz. Mi paragonano a Ellington? Figurarsi. Però ho preparato una frase nel caso dovessi vincere un Oscar o un Nobel: ‘Mi sento un trifoglio in un campo di quadrifogl­i’”.

Uno di noi fece le poste sotto casa di Adriano, gli porse un vecchio registrato­re L’avrà ascoltata facendosi la barba

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