Conte, l’avvocato visionario che sa cantare l’Azzurro
IN TOUR Il debutto alle Terme di Caracalla, anche per registrare un album live Un cantautore senza Novecento: “Non scrivevo brani per dare messaggi alle masse”
Il Novecento di Conte non esiste, ma è suggestivo immaginarlo. Lui te lo suona, quel delizioso pastiche, e credi di scoprire un’Europa incantata a trattenere gli ultimi echi di una valzeristica Belle Époque accanto a un’America che gira vorticosamente attorno al Dixie o al boogie, e un’Amazzonia che nasconde non ritmi selvaggi, ma rumbe e milonghe. Nessuna guerra all’orizzonte, se non i conflitti dei sentimenti, nell’affresco contiano. Lì devi arrenderti all’evidenza delle cose: questo è “solo” un policromo sogno d’artista, un’estasi visionaria in cui l’Avvocato si rifugia per dimenticare la follia della Storia.
E SE GLI CHIEDI una riflessione sul gustoso paradosso di “Azzurro” - la sua “signature song” uscita negli stessi giorni del Maggio Francese, con Celentano a incarnare un misantropo chiuso in un giardino esotico, in cerca di chiacchiere vacue e compagnie irraggiungibili – Paolo ti risponde come se solo ora si rendesse conto che mezzo secolo fa ci sono state sommosse giovanili e rivoluzioni in embrione. “Ah sì, ma io non ho mai vissuto dentro le università. Non scrivevo canzoni per dare messaggi, per annunciare concetti particolari”. Però si rese conto subito, grazie all’interpretazione del Molleggiato, che “Azzurro” sarebbe stato un successo epocale: “Fu concepito per la sua voce. L’avevo scritto nel ’67: ero un giovane autore che scriveva per il Clan, ma non ero iscritto alla Siae, Pallavicini firmò il testo. Uno dei nostri fece le poste sotto casa di Adriano, gli porse un vecchio registratore Geloso e il provino con la mia voce. L’avrà ascoltata facendosi la barba, e da lì...”. Da lì “Azzurro” diventa uno degli inni d’Italia alternativi fino alla celebrazione del cinquantennale in un doppio appuntamento in concerto alle Terme di Caracalla, anche per registrare un album live che vedrà la luce in autunno. E in una serata di debutto (in estate altre date a Montreux Jazz il 29 giugno e a Gent il 6 luglio) in cui solo l’umidità aveva tentato di boicottare la superba performance del protagonista e della sua inarrivabile orchestra (con assistenti costretti ad asciugare di tanto in piano il piano mentre gli archi gemevano per le accordatu-
Ma quale Sanremo Conte ha escluso una futura partecipazione al Baglioni bis: “Non amo correre rischi”
re a rischio), il momento catartico è stato proprio l’esecuzione di “Azzurro”. Perché dopo due ore di sarabanda stellare (il climax nell’assolo di violino di Piergiorgio Rosso su una vertiginosa “Diavolo Rosso”), Conte si è incartato guarda caso sul suo classico, ribaltandone caoticamente versi, accordi e ritornello, mentre il pubblico ( nel parterre du roi Gentiloni e Fassino, Arbore e Baricco) fungeva da coro, partecipe e divertito.
EPPURE l’Avvocato – in gran forma nei suoi 81 anni, con l’unica precauzione di un golfino verde buttato sopra la giacca lì in scena – aveva ripassato con zelo tutti i pezzi che dal vivo non eseguiva da tempo. “Ma per ‘ Azzurro’ non c’è bisogno! La conosco a memoria, dai!”, aveva confidato poco prima nel backsta- ge. Invece eccoti il colpo di coda della canzone trascurata, l’auto- boicottaggio psicoanalitico di un autore che si è illuso di fermare il proprio tempo raccontandone un altro, luminosamente eterno. Conte, “il vero avvocato difensore degli italiani”, il genio giocherellone che impasta musica di notte (“quando siedo al pianoforte e non c’è nessuno intorno, solo il silenzio, e sono giudice unico della mia ispirazione”), che finge di osservare con socratico distacco il coté canzonettaro (“Baglioni-bis a Sanremo? La prima edizione è stata piuttosto... fluida, ma non sono riuscito a vederla tutta. E anche se avessi una canzone giusta per il Festival non la presenterei, non amo correre rischi”), e che dissimula la propria grandezza: “Mi pensano vicino a Brassens? Giusto oggi fischiettavo una sua canzone, ma non ne sono un seguace: piuttosto sento affini Aznavour o Mistinguette. E sì, nel tempo libero ascolto vecchi dischi jazz. Mi paragonano a Ellington? Figurarsi. Però ho preparato una frase nel caso dovessi vincere un Oscar o un Nobel: ‘Mi sento un trifoglio in un campo di quadrifogli’”.
Uno di noi fece le poste sotto casa di Adriano, gli porse un vecchio registratore L’avrà ascoltata facendosi la barba