“Mi candido senza ‘aiutini’ e casacche”
“Non mi presento alle elezioni del Cda Rai solo per tutelare i giornalisti”
Gentile
direttore, ringrazio anche a nome degli altri 14 candidati per l’attenzione che il Fatto Quotidiano dedica all’elezione di un/una rappresentante dei dipendenti Rai nel prossimo Consiglio di Amministrazione, ma non ho francamente capito quale sia “l’aiutino” che mi sarebbe stato dato.
Se il riferimento è all’incarico nel settore della Responsabilità Sociale, è fin troppo ovvio notare che le onlus con le quali ho cominciato ad avere incontri non hanno nessuna relazione con il voto, che spetta solo e soltanto ai dipendenti Rai. Le associazioni sono impegnate in ben altre campagne di sensibilizzazione (malattie, povertà, disuguaglianze) che non quella per scegliere il settimo componente del CdA.
Ne approfitto anche per ricordare che, oltre ad essere “l’ex portavoce della Boldrini”, sono dipendente Rai dal millennio scorso: per una borsa di studio che vinsi nell’81 (ci vuole il passato remoto) e che mi portò all’assunzione nell’88.
L’altra cosa che non ho capito è “il desiderio che in CdA vada un uomo dell’azienda e non un giornalista”. I giornalisti e le giornaliste sono uomini e donne dell’azienda, né più né meno importanti di dirigenti, quadri, tecnici, impiegati, operai. Il bello di questo voto – p ur all’interno di una legge che ai sindacati Rai e a molti dipendenti non piace, perché rafforza ancora di più la presa del governo sul servizio pubblico: e lo hanno detto quando la legge è stata varata da un governo di segno ben diverso dall’attuale – è che dà ai dipendenti, a tutti i dipendenti (“uno vale uno”, come si usa dire) la possibilità di far sentire la propria voce.
Io sono giornalista e sono grato all’Usigrai (il sindacato dei giornalisti Rai) per avermi indicato, ma non mi candido certo per rappresentare la mia categoria. E lo stesso, ne sono sicuro, pensano gli altri candidati e candidate di altre professioni. Chi va in CdA dovrà far sentire ben altre ragioni che quelle di un gruppo professionale: per quello scopo ci sono e rimarranno i sindacati. Dovrà rappresentare inve- ce con passione e competenza le ragioni del servizio pubblico, mai così poco popolari come oggi tra i “decisori politici”; far sentire forte la domanda di autonomia che esprime la grandissima parte dei dipendenti Rai; far rispettare le ragioni del lavoro Rai, contro una precarietà ancora troppo diffusa, contro troppe esternalizzazioni e appalti senza ragione; farsi portavoce anche delle domande dei cittadini che pagano il canone, le cui richieste non è detto che trovino ascolto – l’esperienza insegna – nei rappresentanti scelti dal Parlamento o dal Governo.
Rispetto a questi compiti l’unica maglietta da indossare è quella di tutti i dipendenti Rai, così come è opera di tutti i dipendenti, nessuno escluso, il prodotto che ogni giorno il servizio pubblico fornisce.
Non sono solo l’ex portavoce della Boldrini: lavoro qui dall’81. E voglio difendere le ragioni del servizio pubblico