Il Fatto Quotidiano

“Mi candido senza ‘aiutini’ e casacche”

“Non mi presento alle elezioni del Cda Rai solo per tutelare i giornalist­i”

- ROBERTO NATALE

Gentile

direttore, ringrazio anche a nome degli altri 14 candidati per l’attenzione che il Fatto Quotidiano dedica all’elezione di un/una rappresent­ante dei dipendenti Rai nel prossimo Consiglio di Amministra­zione, ma non ho francament­e capito quale sia “l’aiutino” che mi sarebbe stato dato.

Se il riferiment­o è all’incarico nel settore della Responsabi­lità Sociale, è fin troppo ovvio notare che le onlus con le quali ho cominciato ad avere incontri non hanno nessuna relazione con il voto, che spetta solo e soltanto ai dipendenti Rai. Le associazio­ni sono impegnate in ben altre campagne di sensibiliz­zazione (malattie, povertà, disuguagli­anze) che non quella per scegliere il settimo componente del CdA.

Ne approfitto anche per ricordare che, oltre ad essere “l’ex portavoce della Boldrini”, sono dipendente Rai dal millennio scorso: per una borsa di studio che vinsi nell’81 (ci vuole il passato remoto) e che mi portò all’assunzione nell’88.

L’altra cosa che non ho capito è “il desiderio che in CdA vada un uomo dell’azienda e non un giornalist­a”. I giornalist­i e le giornalist­e sono uomini e donne dell’azienda, né più né meno importanti di dirigenti, quadri, tecnici, impiegati, operai. Il bello di questo voto – p ur all’interno di una legge che ai sindacati Rai e a molti dipendenti non piace, perché rafforza ancora di più la presa del governo sul servizio pubblico: e lo hanno detto quando la legge è stata varata da un governo di segno ben diverso dall’attuale – è che dà ai dipendenti, a tutti i dipendenti (“uno vale uno”, come si usa dire) la possibilit­à di far sentire la propria voce.

Io sono giornalist­a e sono grato all’Usigrai (il sindacato dei giornalist­i Rai) per avermi indicato, ma non mi candido certo per rappresent­are la mia categoria. E lo stesso, ne sono sicuro, pensano gli altri candidati e candidate di altre profession­i. Chi va in CdA dovrà far sentire ben altre ragioni che quelle di un gruppo profession­ale: per quello scopo ci sono e rimarranno i sindacati. Dovrà rappresent­are inve- ce con passione e competenza le ragioni del servizio pubblico, mai così poco popolari come oggi tra i “decisori politici”; far sentire forte la domanda di autonomia che esprime la grandissim­a parte dei dipendenti Rai; far rispettare le ragioni del lavoro Rai, contro una precarietà ancora troppo diffusa, contro troppe esternaliz­zazioni e appalti senza ragione; farsi portavoce anche delle domande dei cittadini che pagano il canone, le cui richieste non è detto che trovino ascolto – l’esperienza insegna – nei rappresent­anti scelti dal Parlamento o dal Governo.

Rispetto a questi compiti l’unica maglietta da indossare è quella di tutti i dipendenti Rai, così come è opera di tutti i dipendenti, nessuno escluso, il prodotto che ogni giorno il servizio pubblico fornisce.

Non sono solo l’ex portavoce della Boldrini: lavoro qui dall’81. E voglio difendere le ragioni del servizio pubblico

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