Pinti, Traini e quelli del carcere di Ancona
Untore”, il “giustiziere”, gli indagati per la morte di Pamela: scene da un penitenziario
“Sei
finito, appena esci dalla cella ti stacchiamo la testa”. Così i detenuti del carcere anconetano di Montacuto si sono rivolti all’arr ivo, mercoledì scorso in cella di isolamento, di Claudio Pinti, l’“untore” che avrebbe intrattenuto rapporti sessuali non protetti con 228 partner senza avvisarli della sua sieropositività, contratta nel 2008 da una professionista di Ancona. Dopo la denuncia di una sua ex fidanzata due mesi fa, contagiata tra febbraio e aprile scorsi, la squadra mobile l’ha arrestato con l’accusa di lesioni gravissime. Reato che potrebbe presto essere modificato in omicidio, se le indagini confermeranno il nesso tra il contagio del virus Hiv a una ex compagna di Pinti morta di Aids nel giugno del 2017, dalla cui relazione è nata una figlia, per fortuna sana. Tra le cinque celle della sezione di isolamento del penitenziario, Pinti sta trascorrendo i suoi primi giorni da recluso in quella occupata per circa tre settimane da Innocent Oseghale, prima di essere trasferito. L’unico dei tre nigeriani rimasti all’interno dell’inchiesta su omicidio, occultamento, vilipendio e distruzione del cadavere di Pamela Mastropietro. Gli altri due, Lucky Awelima e Desmond Lucky, sono usciti dal fascicolo principale e dovranno affrontare il processo solo per lo spaccio di droga.
UNA NOTIZIApresa male dalla procuratore di Macerata, dai familiari di Pamela e anche da Luca Traini, il 28enne di Tolentino che il 3 febbraio scorso, tre giorni dopo il ritrovamento del cadavere fatto a pezzi della 18enne romana, ha sparato addosso a sette stranieri innocenti, ferendoli. La settimana scorsa, dopo aver ascoltato la notizia che i due nigeriani erano stati scagionati dall’accusa più odiosa, Traini ha avuto una violenta reazione. Necessario il massiccio intervento delle guardie carcerarie per contenerlo, visto che si tratta di un uomo di quasi cento chili. Il giorno dopo ha espiato i suoi peccati davanti all’arcivescovo di Ancona, Monsignor Angelo Spina, impegnato in una visita all’interno della struttura carceraria di Montacuto. Traini ha chiesto – e ottenuto – all’alto prelato di dedicare una preghiera alla memoria di Pamela.
Tornando a Claudio Pinti, la differenza tra il bene e il male, tra livelli di pericolosità sociale, non dovrebbe albergare all’interno di un carcere. Furto, omicidio, spaccio di droga o estorsione, sempre reati sono. Eppure, stando al codice non scritto, interno a qualsiasi ambiente carcerario, alcuni reati vengono considerati in maniera diversa da altri, suscitando reazioni rabbiose e promesse poco edificanti.
La vita del pedofilo o della “gola profonda” in carcere, ad esempio, non sono facili, da qui la necessità di inserirli in ambienti isolati dalle sezioni comuni. A Pinti i detenuti di Montacuto hanno tributato lo stesso tipo di accoglienza: mi- nacce, tutt’altro che velate, di fargliela pagare per il suo subdolo atteggiamento nei confronti di partner ignari.
Aver potenzialmente infettato decine e decine di donne (e anche di uomini, specie nei mesi recenti, quando Pinti aveva aumentato la sua presenza sui siti di incontri gay, l’ultimo proprio il giorno prima di essere arrestato) imponendo il sesso non protetto e non facendo alcuna menzione sul fatto di essere affetto da Aids conclamato, ha disturbato le coscienze. Un atteggiamento odioso, meritevole di vendette assolute. I “colleghi” di Pinti però dovranno fare in fretta. Presto il suo regime carcerario potrebbe diventare incompatibile con la sua condizione fisica, tanto da richiedere il trasferimento in una struttura protetta. Domani, in merito, è attesa la decisione del gip di Ancona.