Più spesa pubblica per i poveri, ma anche meno Stato e tasse
“Èora di dire che i cittadini italiani hanno diritto a un salario minimo orario, affinché nessuno venga più sfruttato, hanno diritto a un reddito di cittadinanza e a un reinserimento al lavoro qualora si ritrovino disoccupati; hanno diritto a una pensione dignitosa; hanno diritto a pagare in maniera semplice tasse eque”. In queste parole del discorso di insediamento di Giuseppe Conte c’è la sintesi di un approccio tipicamente populista all’economia: la promessa di uno Stato pesante, che aumenta la spesa pubblica per correggere disuguaglianze a beneficio dei bisognosi, ma al contempo anche la promessa di uno Stato minimo, che impone meno tasse, che limita i controlli (via lo spesometro, gli studi di settore, i limiti al contante...). Come tenere insieme queste due politiche economiche di senso opposto? L’ipotesi più probabile è che si trovino compromessi, realizzando nell’immediato solo una piccola parte di quanto promesso. L’alternativa è provare a fare tutto, violando i vincoli europei sulla riduzione del deficit e sul contenimento del debito. Sarà decisivo capire quanto peso avrà il ministro degli Affari europei Paolo Savona e il suo sottosegretario, Luciano Barra Caracciolo, i due componenti più apertamente critici sull’euro e l’Ue del governo Conte.