Il Fatto Quotidiano

In tempi di crisi non vale più il romaticism­o ma solo il 730

- » ELISABETTA AMBROSI

Era l’ultimo baluardo di romanticis­mo rimasto, quel gesto della mano accompagna­to da un sorriso e da una frase, “lascia, faccio io”. Poi è venuta l’ondata del femminismo intransige­nte, secondo cui quell’of fr ir e, machista e antieguali­tarista, creava in realtà un debito che la donna si sentiva costretta a ricambiare, per lo più offrendo sessualmen­te se stessa. Infine, indifferen­te alle ideologie, è venuta la crisi, che ha reso tutti precari, mentre anche i rapporti umani diventavan­o instabili e a termine. Gli uomini hanno smesso di offrire la cena, le donne di aspettarsi che venga loro offerta. D’altronde, chiedere di pagare a un compagno con reddito scarso e intermitte­nte dovrebbe far venire il magone a chiunque abbia un minimo di sensibilit­à, mentre essere attenti alla situazione economica dell’altro è il minimo per una donna intelligen­te. Anche perché di sicuro una cena con l’incubo del momento del conto non può creare grandi prospettiv­e per la serata, anzi è avvilente per entrambi. Meglio sarebbe, in definitiva, che pagasse sempliceme­nte il più ricco (o il meno povero).

E TUTTAVIA, resta un problema. Andare a cena col 730 sotto braccio non è il massimo dell’eccitante, e la bellezza di una serata sta anche nell’abbandono, almeno per un po’, della ragionevol­ezza e della prudenza, con conseguent­e apertura di uno spazio fatto anche di piccoli eccessi, di slanci emotivi. E di gesti, come quello dell’offrire, che raccontano della felice indifferen­za verso l’algida aritmetica e al tempo stesso dell’eccitante bellezza di qualcuno che in qualche modo, anche solo per una sera, si prenda cura di te. Qualcuno che, a quel punto, può essere – ogni tanto però che gli stipendi restano ancora più bassi - anche lei, perché ciò che conta è l’abbandono di un egualitari­smo troppo politicame­nte corretto e della triste ripartizio­ne meccanica, magari (orrore) persino a seconda della rispettiva voracità o inappetenz­a.

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