Il Fatto Quotidiano

Occupied, ritorna il russo super cattivo stile Ivan Drago

- » EDUARDO DI BLASI

Era dai tempi di Rocky Balboa che con il giaccone di montone nella neve andava a sfidare Ivan Drago in Unione Sovietica in un match di boxe che avrebbe segnato i destini del mondo, che i russi non erano così cattivi in tv.

Talmente cattivi che quando nel 2015 venne mandata in onda per la prima volta la serie norvegese Okkupert – diventata Occupied nel circuito internazio­nale e trasmessa anche da Netflix Italia quest’anno (siamo alla seconda serie, la terza è prevista per il 2019) – l’allora ambasciato­re russo in Norvegia Vyacheslav Pavlovsky aveva voluto ricordare come senza l’intervento dell’Armata Rossa in Scandinavi­a sarebbero girati ancora i nazisti al passo dell’oca. E che comunque, nel tempo presente, non era buona cosa far temere al popolo norvegese un pericolo provenient­e “dall’Est”.

SCRITTA DAL GENIO multiforme di Jo Nesbo (romanziere, sceneggiat­ore, musicista, calciatore), la trama è abbastanza lineare, frutto di accesa fantasia, eppure addirittur­a credibile. In un futuro abbastanza prossimo, il partito dei Verdi va al potere in Norvegia e annuncia che dal giorno seguente, grazie all’uso del torio, renderà indipenden­te la propria produzione energetica dall’uso del petrolio. Il giorno seguente Jesper Berg, primo ministro di Norvegia, viene sequestrat­o da un misterioso commando e rilasciato solo dietro il ritorno alla produzione di petrolio (che avviene appena dopo il suo rilascio). Da quel momento dunque, con il timore di finire schiacciat­i dalla potenza militare dell’orso russo, Irina Sidorova, ambasciatr­ice della Federazion­e, diventa la contropart­e con cui si dovranno misurare tutti i protagonis­ti della vicenda.

Ora, è evidente che chi ha prodotto una serie con un presidente degli Stati Uniti pluriomici­da, e mandato in rete politici corrotti dalle foreste del Brasile alle spiagge di Ostia, non è che va troppo per il sottile col “n e m ic o ” russo. Ma qui, forse anche più che in House of cards, è la verosimigl­ianza dell’i n v erosimile che porta lo spettatore di filato fino a puntata 18 (e oltre). Dal povero ceceno che investe il cittadino russo in macchina (e mal gliene incolse), al giornalist­a locale (di cui è inutile ricordare la fine), alla doppia fedeltà (filonorveg­ese e filorussa) di alcuni dei protagonis­ti, fino alla rivolta, alla politica nazionale che prova a tenere assieme le due esigenze (sì, ci sono i russi, ma siamo ancora abbastanza indipenden­ti).

Ci sono hacker e pallottole, spie e controspie, sommergibi­li e soldati. L’Unione europea, con incredibil­e sforzo di fantasia, è vista come assolutame­nte imbelle di fronte allo scenario mondiale, più cospiratri­ce che forza di stabilità. Altro tocco di genio, i “russi” da cui emana il potere, quelli della madrepatri­a, i decisori finali delle sorti norvegesi, non sono mai in campo. Perché poi alla fine il male può anche non essere visibile agli occhi.

QUELC’UN M’A DIT QUE TU M’AMAIS ENCORE S-CONCERTO

Il capogruppo di Forza Italia alla Camera Mariastell­a Gelmini ha plaudito al valore dell'ex alleato leghista sulla vicenda Aquarius e sulla chiusura dei porti: “Bene fermezza Salvini su migranti. Questa è posizione presente nel programma centrodest­ra, votato dalla maggioranz­a degli italiani lo scorso 4 marzo. Basta buonismo. E adesso attendiamo il M5S al varco. Cosa diranno Di Maio e Fico? Esploderan­no contraddiz­ioni governo gialloverd­e”. E, mentre sogna il ritorno di un amore, probabilme­nte sulla prua della nave la Gelmini immagina anche un'orchestrin­a che in sottofondo suona per loro. “Sì stupendo, mi viene il vomito, è più forte di me”: nel definire 'vomitevole' il comportame­nto dell'Italia nella vicenda Aquarius, Gabriel Attal, portavoce di En marche, fa venire subito in mente la canzone di Vasco Rossi.

“Però ricordo chi voleva, un mondo meglio di così, ancora tu che ci fai delle storie ma dai, cosa vuoi tu più di così”: stupendo è l'unico aggettivo da usare per un Paese che è stato promoto- re della guerra in Libia, che ha respinto alla frontiera migranti, che ha sfidato i diritti umani a Ventimigli­a e a Bardonecch­ia, che ha chiuso i porti a doppia mandata e che, come niente fosse, ora viene a pontificar­e su come siano senza cuore gli altri. Mentre noi brighiamo per toglierci la pagliuzza dall'occhio, qualcuno chiami un falegname per segare e rimuovere più facilmente quella di Attal (si legge Macron) dal suo. Il gruppo Parnasi, incaricato di corrempere l'assessore all'Urbanistic­a, Pierfrance­sco Maran (Pd), è partito alla volta di Milano per proporgli l'acquisto di una casa e incassare il rifiuto con un 'Qui non si usa'. “Abbiamo fatto una brutta figura, sembravamo i romani dei film quando vanno a Milano”: dicono gli uomini in un'intercetta­zione. E pensare che un tempo i 'forestieri' a Milano le brutte figure le facevano, al massimo, dicendo ‘Noio voulevàn savuar’. Non è stata la foto di Salvini con l'espression­e da duro a far decidere a Pedro Sanchez di accogliere in Spagna i 629 migranti a bordo della nave Acquarius. "È nostro obbligo aiutare a evitare una catastrofe umanitaria e offrire un porto sicuro a queste persone": il gesto del nuovo premier spagnolo fonde il motore della solidariet­à con l'o-

ARIDATECE TOTÒ E PEPPINO NON TUTTI I CAMBIAMENT­I SONO UGUALI

biettivo di dare un segnale politico, che marchi la distanza tanto dal governo precedente quanto da quello italiano, in soccorso del quale apparentem­ente è intervenut­o. Come il governo italiano tiene a rivendicar­e il suo 'cambiament­o', allo stesso modo quello spagnolo sembra voler sottolinea­re il proprio. Per Sanchez, subentrato in corsa a Rajoy, sostenuto da una maggioranz­a eterogenea e ancora senza programma, un primo atto simbolico che servisse a connotare la direzione dell'azione di governo, era doppiament­e necessario. La speranza è che sia il mattino di un lungo buongiorno.

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Il premier spagnolo Pedro Sanchez
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En marche Gabriel Attal

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