Il Fatto Quotidiano

MA NON BASTA UN BRANO DI GIORGIO BASSANI

- » GIOVANNI PACCHIANO

Itemi della maturità: che gioia veder proposto come analisi del testo un brano dal Giardino dei Finzi-Contini dell’immenso Giorgio Bassani. Ma è goccia di rugiada nel mare in tempesta della scuola italiana. Li avete mai letti da cima a fondo, invece, cari docenti, i testi delle riforme che si sono succedute negli ultimi venti anni? E non vi siete accorti che nella gigantesca massa di istruzioni e nello scivolamen­to verso l’ossessione degli anglicismi e delle sigle astruse, culminate con la “Buona Scuola”, e appunto nella raffica di comandamen­ti che a eseguirli ci vorrebbero tempi didattici centuplica­ti, è sancita la distruzion­e del principio fondamenta­le dell’insegnamen­to?

CHE GLI STUDENTI stanno a scuola per imparare, e i docenti per insegnare. Già svilito su giornali o riviste o tivù, dove la partecipaz­ione attiva del pubblico o del lettore si spinge, ad esempio, a recensire libri anche quando non ci siano le capacità necessarie. Fareste eseguire un’operazione di cataratta a un portantino invece che a un oculista? No. Così come a mal partito si troverebbe l’oculista svolgendo il mestiere del portantino. Ma nel mondo della cultura sta succedendo di tutto, in nome della libertà di parole in libertà e dello spontaneis­mo: la conoscenza della materia e la profession­ali- tà sono state messe nel ripostigli­o di strofinacc­i e scope.

Mi limiterò tuttavia a parlare delle scuole superiori, dove ho insegnato a lungo a partire dal 1966 e della disciplina che insegnavo, cioè l’Italiano. Bene, la lezione ex cathedra è stata il pilastro della riforma gentiliana, durata negli anni e arrivata fino al mio tempo. Mentre, se la riforma stessa aveva il difetto del classismo (primi i licei classici, secondi gli scientific­i, poi il resto), essa mirava tuttavia alla formazione delle personalit­à attraverso la cultura e la oggi tanto dispregiat­a epistemofi­lia, il desiderio di sapere che un professore appassiona­to, che sappia coinvolger­e, trasmette allo studente. Oggi, salvo gli istituti profession­ali, relegati ancora nel ghetto, le scuole superiori si chiamano tutte licei, ma si tratta di puro nomina- lismo. Cresce, invece, il livellamen­to verso il basso, l’esaltazion­e del saper fare al posto del sapere (ah, l’alternanza scuola-lavoro, con l’enorme quantità delle ore dedicate a quest’ultimo: spesso lavori futili o inutili o di puro sfruttamen­to!), nonché la distruzion­e dello storicismo, lo strumento principale che possa dare ai ragazzi il senso della continuità non solo della cultura ma della vita umana nei tempi. Per contro, si esalta un eterno presente: senza passato, senza futuro.

Lezione frontale è parola e prassi da usare con cautela, vocabolo da circolo di carbonari. Mi diceva una volta una prof: quando devo spiegare un autore accendo la mia bella lavagna luminosa (altra iattura) e via con le immagini. Forse inconsapev­ole che l’incrocio fra i testi di un autore, ove possibile, come nel caso delle poesie, letti in classe, e la parola del l’autore stesso ripresa attraverso il discorso dell’insegnante, abituano alla riflession­e e alla critica. Il fine ultimo: la scoperta del senso profondo del testo, e di quell’aura che costituisc­e, quando c’è, il carattere magico non dello scrittore come persona (campo della critica biografica), ma di quell’“in sé e insieme altro da sé” che è l’autore proiettato nella sua opera. Ecco, questo facevo in classe, leggendo ad alta voce i testi, commentand­o, spiegando, spesso mettendo in atto un primo tentativo di letteratur­a comparata (vizio principale delle antologie, non dare la necessaria importanza alle letteratur­e straniere). Era, per gli studenti, un momento solo in apparenza passivo. Ascoltare vuole anche dire immagazzin­are nozioni, rifletterc­i sopra, confrontar­e le impression­i di chi insegna con le proprie. Vivere il testo come qualcosa di concreto e non come un penso assegnato a casa.

SOLO IN UN SECONDO momento, magari anche dopo un mese o più di lezioni ex cathedra, arrivava il giorno in cui la lezione poteva diventare dibattito aperto a tutte le voci. Ma, prima, l’apprendist­ato era inevitabil­e, e l’alternanza di questi due momenti doveva continuare tutto l’anno. Nel tempo, con alcune classi, le più dotate, dopo qualche lezione su singoli canti di Dante, si giungeva al punto in cui, divisa la classe in gruppetti, ognuno di loro, dopo essersi incontrati più volte a casa e avere analizzato il canto in questione, ne riferivano in classe, davanti ai compagni e all’insegnante. Il lavoro collettivo, insomma, era una conquista per gradi. Insieme a questo, all’inizio d’anno, un’altra cosa mi pareva fondamenta­le: dare quella che tra la prima e la terza liceo classico gli studenti chiamavano ammiccando “la famosa lista”. Una lista di 100 libri di narrativa da leggere in tre anni. Ma su questo tema converrà più ampiamente tornare. E, se Bassani è un grande, da solo, tanto più ridotto a un brano, non basta.

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