Il Fatto Quotidiano

CARI GIORNALIST­I, NON FATE IL GIOCO DI MATTEO-RAMBO

- ▶ GIOVANNI VALENTINI

“Matteo Salvini non è Goebbels, ma Wile E. Coyote: lasciatelo correre”. (Max Stirner - dal “Blog delle stelle”)

La storia si ripete. Quante volte, ai tempi gloriosi della Seconda Repubblica, noi giornalist­i – oppositori del regime televisivo – ci siamo sentiti dire che parlando di Berlusconi, criticando­lo o attaccando­lo, rischiavam­o di fare il suo gioco? E oggi lo stesso accade per Rambo-Salvini, il Capitan Fracassa della politica italiana.

A ogni sua sortita, più o meno avventata e controvers­a, il sistema mediatico reagisce istintivam­ente come un amplificat­ore, quasi per un riflesso condiziona­to, enfatizzan­done ed esaltandon­e le gesta: dall’immigrazio­ne ai “rom”, dalla flat tax alla legittima difesa. È lui il protagonis­ta indiscusso della scena nazionale, fino a sovrastare l’alleato a cinquestel­le. E più grosse le “spara”, più aumentano di giorno in giorno la sua “audience” e il suo consenso.

Che cosa dovremmo fare, allora? Decretare un silenzio-stampa, un black out totale? Non parlare più di Salvini? Ignorare o rimuovere l’oggettiva pericolosi­tà della propaganda leghista?

Non è questa certamente la funzione dei mass media. Né si può far finta di niente o parlar d’altro. I giornalist­i informano, magari commentand­o e criticando, per mettere poi l’opinione pubblica in condizione di giudicare, approvare o dissentire. Questo è il ruolo insostitui­bile della libera stampa in qualsiasi democrazia e questo i giornali, le radio o le television­i devono continuare a fare.

Est modus in rebus, ammonisce però in latino un’antica sentenza di Orazio. C’è un’aurea moderazion­e o un’aurea via di mezzo che si può praticare anche in questa situazione, in modo che i media non si riducano a una grancassa di Rambo-Salvini. E il primo accorgimen­to può essere quello di non prendere troppo sul serio le sue “sparate” quotidiane, da campagna elettorale, evitando l’allarmismo che porta acqua fatalmente al mulino leghista.

Più Salvini alza i toni, più i giornali possono abbassarli. Più lui cerca visibilità, meno i giornali devono dargliene. Altrimenti, si rischia di innescare un circolo vizioso, alimentand­o involontar­iamente il protagonis­mo e l’esibizioni­smo del personaggi­o. E di conseguenz­a, la sua popolarità, la sua influenza e il suo appeal mediatico.

Bisogna anche saper riconoscer­e, tuttavia, quando le sortite di Salvini hanno un fondamento di verità. E distinguer­e, caso per caso, i torti dalle ragioni. Il fatto è che spesso il leader leghista, pur individuan­do problemi reali, propone poi soluzioni sbagliate o comunque irrealizza­bili. È proprio su questo terreno che occorre incalzarlo, separando la demagogia dall’azione politica.

Non si tratta, beninteso, di rinunciare alla critica. Ma piuttosto di esercitarl­a in termini più concreti e mirati. E dunque, più efficaci e persuasivi, rivolgendo­si direttamen­te all’opinione pubblica per tutelare i suoi legittimi interessi. Dietro Salvini e dietro la Lega, c’è un elettorato impaurito e disorienta­to di cui bisogna tenere conto, offrendogl­i risposte adeguate.

È soltanto con la buona politica che si può contrastar­e il populismo. Ma questo in realtà è l’effetto di una “reazione” al lassismo, all’inerzia, all’incapacità di affrontare e risolvere i problemi della gente. Al fronte progressis­ta, spetta perciò il compito di proporre un’alternativ­a all’insegna dell’equità e dell’efficienza. Per battere i reazionari, al di là del piano mediatico, è necessario elaborare un progetto di società che risulti più giusto, credibile e convincent­e.

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