CARI GIORNALISTI, NON FATE IL GIOCO DI MATTEO-RAMBO
“Matteo Salvini non è Goebbels, ma Wile E. Coyote: lasciatelo correre”. (Max Stirner - dal “Blog delle stelle”)
La storia si ripete. Quante volte, ai tempi gloriosi della Seconda Repubblica, noi giornalisti – oppositori del regime televisivo – ci siamo sentiti dire che parlando di Berlusconi, criticandolo o attaccandolo, rischiavamo di fare il suo gioco? E oggi lo stesso accade per Rambo-Salvini, il Capitan Fracassa della politica italiana.
A ogni sua sortita, più o meno avventata e controversa, il sistema mediatico reagisce istintivamente come un amplificatore, quasi per un riflesso condizionato, enfatizzandone ed esaltandone le gesta: dall’immigrazione ai “rom”, dalla flat tax alla legittima difesa. È lui il protagonista indiscusso della scena nazionale, fino a sovrastare l’alleato a cinquestelle. E più grosse le “spara”, più aumentano di giorno in giorno la sua “audience” e il suo consenso.
Che cosa dovremmo fare, allora? Decretare un silenzio-stampa, un black out totale? Non parlare più di Salvini? Ignorare o rimuovere l’oggettiva pericolosità della propaganda leghista?
Non è questa certamente la funzione dei mass media. Né si può far finta di niente o parlar d’altro. I giornalisti informano, magari commentando e criticando, per mettere poi l’opinione pubblica in condizione di giudicare, approvare o dissentire. Questo è il ruolo insostituibile della libera stampa in qualsiasi democrazia e questo i giornali, le radio o le televisioni devono continuare a fare.
Est modus in rebus, ammonisce però in latino un’antica sentenza di Orazio. C’è un’aurea moderazione o un’aurea via di mezzo che si può praticare anche in questa situazione, in modo che i media non si riducano a una grancassa di Rambo-Salvini. E il primo accorgimento può essere quello di non prendere troppo sul serio le sue “sparate” quotidiane, da campagna elettorale, evitando l’allarmismo che porta acqua fatalmente al mulino leghista.
Più Salvini alza i toni, più i giornali possono abbassarli. Più lui cerca visibilità, meno i giornali devono dargliene. Altrimenti, si rischia di innescare un circolo vizioso, alimentando involontariamente il protagonismo e l’esibizionismo del personaggio. E di conseguenza, la sua popolarità, la sua influenza e il suo appeal mediatico.
Bisogna anche saper riconoscere, tuttavia, quando le sortite di Salvini hanno un fondamento di verità. E distinguere, caso per caso, i torti dalle ragioni. Il fatto è che spesso il leader leghista, pur individuando problemi reali, propone poi soluzioni sbagliate o comunque irrealizzabili. È proprio su questo terreno che occorre incalzarlo, separando la demagogia dall’azione politica.
Non si tratta, beninteso, di rinunciare alla critica. Ma piuttosto di esercitarla in termini più concreti e mirati. E dunque, più efficaci e persuasivi, rivolgendosi direttamente all’opinione pubblica per tutelare i suoi legittimi interessi. Dietro Salvini e dietro la Lega, c’è un elettorato impaurito e disorientato di cui bisogna tenere conto, offrendogli risposte adeguate.
È soltanto con la buona politica che si può contrastare il populismo. Ma questo in realtà è l’effetto di una “reazione” al lassismo, all’inerzia, all’incapacità di affrontare e risolvere i problemi della gente. Al fronte progressista, spetta perciò il compito di proporre un’alternativa all’insegna dell’equità e dell’efficienza. Per battere i reazionari, al di là del piano mediatico, è necessario elaborare un progetto di società che risulti più giusto, credibile e convincente.