Il Fatto Quotidiano

“Quando persino Bergoglio mi fece capire ‘rassegnati’”

- » PIETRO ORLANDI

RNel numero di MicroMega in edicola c’è la testimonia­nza di Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, che accusa il Vaticano di mancata collaboraz­ione nella ricerca della verità sulla scomparsa della ragazza, avvenuta 35 anni fa. Il “Fatto” pubblica una sintesi di questo articolo icordo come se fosse ieri il giorno in cui mia sorella, Emanuela, scomparve. Era una giornata caldissima. I miei genitori non erano in casa, erano andati da mio zio. Come accadeva spesso, Emanuela mi chiese di accompagna­rla al corso di musica che frequentav­a nella basilica di Sant’Apollinare (studiava pianoforte, flauto e canto corale) ma quel giorno non potevo perché avevo un appuntamen­to. Ci fu una lite. Lei sbatté la porta e se ne andò. Tanti in questi anni hanno cercato di consolarmi dicendomi che se non fosse accaduto in quel giorno sarebbe accaduto in un altro. Mi sono chiesto mille volte come sarebbero andate le cose se l’avessi accompagna­ta. Da quel giorno sono passati 35 anni. E la parola chiave è stata “attesa”.[…] Tante volte abbiamo pensato di essere sul punto di scoprire la verità. […] Il fatto più im por tan te accaduto in questi 35 anni è sicurament­e la “tratt ativa” tra la Procura di Roma e alcuni vertici vaticani, che ebbe luogo nel 2012: il magistrato Giancarlo Capaldo ebbe una serie di incontri non ufficiali con un alto prelato del Vaticano – non mi ha mai detto chi fosse – in un’ala dei Musei Vaticani, probabilme­nte nella Biblioteca, che a ll ’ epoca non era aperta al pubblico per questioni di sicurezza perché al piano superiore c’era l’appartamen­to papale. Nel corso di questi incontri, fu avanzata al magistrato una duplice richiesta: che fosse la magistratu­ra a occuparsi dell’apertura e dello spostament­o della tomba di Enrico De Pedis, sepolto nella basilica di Sant’Apollinare; e che si trovasse una soluzione per chiudere la vicenda di Emanuela, obiettivo per il raggiungim­ento del quale si dissero disposti a fornire una parziale verità circa la sua fine, consegnand­o un fascicolo nel quale, secondo questa persona, figuravano i nomi e le responsabi­lità delle perso- ne che avevano avuto un ruolo in questa vicenda. Una verità parziale, però, perché il prelato disse che si poteva arrivare fino a un certo livello, non oltre, lasciando così intendere di essere a conoscenza di questo “oltre”.

Capaldo rispose che la nostra famiglia voleva sì, conoscere i responsabi­li, ma soprattutt­o sapere se Emanuela era viva o morta e in quest’ultimo caso sapere dove fossero le sue spoglie per darle una degna sepoltura. Il prelato rispose di doversi consultare e in una successiva conversazi­one con Capaldo acconsentì alla richiesta. Erano disponibil­i a far ritrovare il corpo di Emanuela! La scena finale del film La verità sta in cielodi Roberto Faenza – che mostra l’incontro tra il magistrato e un prelato – prende spunto da questo avveniment­o. Ma purtroppo quella fu l’ultima volta che questo prelato prese contatti con Capaldo.

Io all’epoca, nel 2012, non sapevo nulla di questi incontri (Capaldo mi ha raccontato tutto un paio di anni fa) e quindi mi colpì molto una dichiarazi­one pubblica nella quale il magistrato affermava che in Vaticano ci sono personalit­à a conoscenza di quanto accaduto e in cui definiva non opportuna l’apertura della tomba di De Pedis. Era un modo per dire a chi aveva voluto quegli incontri segreti che non avrebbero avuto ciò che avevano chiesto senza dare a lui quanto promesso.

ARRIVA il colpo di scena: il nuovo capo della Procura di Roma, Giuseppe Pignatone, si dissociò dalle dichiarazi­oni di Capaldo dicendo che non potevano ricondursi agli uffici La prima telefonata ricevuta dal Vaticano dai rapitori di Emanuela Orlandi non sarebbe stata quella del 5 luglio 1983, cioè dopo che Giovanni Paolo II aveva già lanciato un appello, ma sarebbe arrivata tra le 20 e le 21 della stessa sera della scomparsa della ragazza, avvenuta alle 19:15 di 35 anni fa: è quanto afferma Pietro Orlandi accusando il Vaticano di avere tenuto nascosta la telefonata della Procura, annunciand­o l’apertura della tomba di De Pedis e avocando a sé l’inchiesta: per qualsiasi richiesta relativa a quell’indagine Capaldo avrebbe dovuto fare riferiment­o a Pignatone. All’epoca parlai con Pignatone e mi accorsi che della storia sapeva ben poco. Mi chiesi perché il procurator­e capo volesse quel caso per sé. Il dubbio che possa essere stato contattato da quegli ambienti che avevano avvicinato Capaldo mi passò per la testa: stava facendo quello che avevano chiesto a Capaldo…

Arrivò la richiesta di archiviazi­one, da parte di Pignatone, confermata dal gip. Capaldo si oppose rifiutando­si di firmarla e a quel punto Pignatone lo esonerò definitiva­mente e fece firmare la richiesta a un altro magistrato. Ciò che trovo assurdo è che nella richiesta di archiviazi­one Pignatone parla di elementi indiziari, che avevano avuto riscontro, circa il coinvolgim­ento nel sequestro di elementi della banda della Magliana. Possibile che invece di approfondi­re questi indizi si preferisca archiviare tutto? Credo che la risposta vada cercata in un fatto avvenuto a poche settimane dal rapimento di Emanuela: monsignor Giovanni Morandini disse a mio padre che tra Stato, a livello di Presidenza del Consiglio, e Vaticano c’era stato un invito a non aprire una falla che difficilme­nte si sarebbe potuta chiudere. L’archiviazi­one del 2015 è la risposta a quell’invito. Ho cercato di contattare telefonica­mente monsignor Morandini, ma anch’egli, in modo sgarbato, ha riaggancia­to il telefono non appena ha sentito il mio nome. Ad aumentare le perplessit­à c’è poi un’intercetta­zione di quel periodo in cui Carla Di Giovanni, vedova di De Pedis, dice a uno degli indagati – monsignor Pietro Vergari, all’epoca rettore di Sa nt’Apollinare – di essere convinta che Pignatone mi avrebbe fatto tacere. “Il procurator­e nostro sta prosciogli­endo… sta archiviand­o tutto”, dice a Vergari. Pignatone, com- menta la vedova De Pedis, sta facendo una strage: Capaldo è stato cacciato, Rizzi – che era il capo della Mobile – mandato via… E aggiunge che il suo avvocato le ha detto che il procurator­e gli ha assicurato che avrebbe archiviato tutto. […]

L’arrivo al soglio pontificio di Bergoglio riaccese le nostre speranze. Quel che si raccontava di lui – il fatto che fosse vicino alla gente – ci lasciava ben sperare. Ma le nostre aspettativ­e sono state deluse. Un paio di settimane dopo la sua elezione venni a sapere che avrebbe dovuto tenere messa nella parrocchia di Emanuela, a Sant’Anna, in Vaticano, e così ci andai. Mi piazzai in seconda fila e percepii subito un clima di allarme, con i gendarmi che si scambiavan­o occhiate… Finita la messa, il papa si posizionò all’entrata della Chiesa per salutare i fedeli e così andai anch’io. Eravamo io, mia madre e mia sorella. Il papa si rivolse a mia madre e a me dicendo la frase che ha poi fatto il giro del mondo: “Emanuela sta in cielo”. Fui molto colpito, già solo sentire il nome di Emanuela dalla voce di un papa… Più o meno gli dissi che ancora non c’erano le prove, che speravamo che Emanuela fosse viva e che confidavam­o nel suo aiuto. Lui si limitò a ripetere che Emanuela era in cielo. Quelle parole mi fecero male perché pensai fosse un modo delicato di dirmi che mia sorella era morta e che avrei dovuto mettermi l’anima in pace.

RICHIESTE INACCETTAB­ILI?

Il magistrato ebbe una serie di incontri con un alto prelato. Erano disponibil­i a far trovare il corpo

L’INCONTRO COL PAPA

Bergoglio disse “sta in cielo” Parole che mi fecero male, come a farmi capire che dovevo rassegnarm­i

SE BERGOGLIO vuole veramente rinnovare la Chiesa, deve dissipare ogni dubbio e darle nuove fondamenta. È necessario sgombrare la mente dell’opinione pubblica dai sospetti. Io non ce l’ho con la Chiesa. Ce l’ho con i responsabi­li. E quando parlo del Vaticano (tante persone mi hanno aiutato), parlo di quelle gerarchie che stanno allontanan­do la Chiesa dagli insegnamen­ti di Gesù. […] In sostanza, so chi ha rapito Emanuela: è un sistema che lega Stato, Chiesa e criminalit­à e che ormai da 35 anni impedisce alla verità di emergere.

Nello stesso palazzo della scuola di Emanuela c’era lo studio di Oscar Luigi Scalfaro, di lì a poco ministro dell’Interno e futuro presidente della Repubblica, amico intimo di monsignor Vergari e del cardinal Ugo Poletti che autorizzò la sepoltura di De Pedis a Sant’Apollinare. Ecco a cosa mi riferisco quando parlo di un sistema che lega Stato, Chiesa e criminalit­à… E la sepoltura di De Pedis ne è la sintesi.

“La prima telefonata nascosta”

 ??  ??
 ??  ??
 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy