La Via Crucis dell’Argentina che si aggrappa alla Nigeria
Dopo le lacrime, la preghiera: in ginocchio o con le mani giunte, davanti al maxi-schermo. Credere in qualcosa, in che cosa non lo sapevano neppure loro: se per l’Argentina il pallone è quasi religione, dio era Messi. Ma giovedì sera l’hanno rinnegato tre volte, una per ogni gol della Croazia e ieri, nel giorno dell’anniver sario della Mano de Dios, per un tempo intero sono rimasti senza fede. Per restituirgliela ci voleva il Moses nigeriano (il nome biblico non può essere un caso), che con la sua sgroppata ha propiziato il gol della vittoria per 2-0 della sua Nigeria contro l’Islanda, risultato vitale per l’Albiceleste.
PER UNA NOTTE l’Argentina è stata con un piede e mezzo fuori dal Mondiale (apocalisse: solo una volta negli ultimi 50 anni è uscita al primo turno, nel 2002) e a San Pietroburgo si consuma il drammone sudamericano. Ci sono tutti gli ingredienti: passione, tradimento, odio, rivalità, vendetta, morte e resurrezione. Il cattivo della storia non può che essere l’Hombrecito Jorge Sampaoli, il ct che con il suo fanatismo e la giacchetta da telenovela t ra sh ha distrutto la Nazionale. Lo spogliatoio è frantumato, Maradona ha già lanciato il suo anatema, per tutta la giornata si sono rincorse voci di un clamoroso esonero in corsa, che davvero non avrebbe precedenti nella storia: difficile, anche perché alla Federazione costerebbe 20 milioni di dollari di penale. E poi la protesta popolare ha altri obiettivi: “Abbiamo avuto tre allenatori diversi: ha fatto degli sbagli, ma non è certo l’unico colpevole”. Stesso pensiero espresso da Diego Simeone, allenatore dell’Atletico Madrid e idolo dei tifosi, in un audio Whatsapp finito sui giornali: “Quello che sta succedendo nella Nazionale è quello che è successo durante questi quattro anni, l'anarchia”. Se tutto andrà male ci sarà tempo per i processi, anche sommari.
Intanto i brasiliani hanno già preparato la colonna sonora per la scena finale. Quasi per uno scherzo del destino in città, mentre gli argentini arrivati alla spicciolata dalla disfatta di Nizhny Novgorod aspettano come al patibolo la partita che si giocherà qui al Krestovsky Stadium martedì, sono sbarcati in massa anche i supporter verdeoro per la sfida con la Costa Rica. Hanno sofferto pure loro, per novanta minuti e passa contro il catenaccio dei caraibici, tra i capricci di Neymar e i fantasmi del passato. Ma alla fine hanno vinto, 2-0 nel recupero, e per gli orfani dell’Albiceleste il successo in extremis degli eterni rivali ri- schia di essere l’ultima beffa: cantano “Messi ciao, ciao, ciao” sulle note di “Bella ciao” (in onore della serie tv La casa de Papel, popolarissima in Brasile: allo stadio ci sono anche maschere di Dalì), sognano la coppa, gridano “Il Sudamerica siamo noi”. Avevano aspettato a lungo questo momento: 4 anni fa erano stati gli argentini a godere dei loro dolori e della tragedia sportiva del “Maracanazo”, umiliandoli in casa col famoso coro “Decime qué se siente” che era diventato il tormentone di quell’edizione. Ora i ruoli si sono ribaltati, tocca a loro divertirsi. Una vendetta dolcissima, ma non del tutto compiuta.
GRAZIE AL 2-0 di Nigeria-Islanda, l’Argentina non è ancora eliminata. Quando Musa, imprendibile per i vichinghi islandesi, firma la doppietta personale, e poi Sigurdsson spara alle stelle il rigore della possibile rimonta, gli argentini si abbracciano, qualcuno persino piange: magari è un segno. Ora per passare agli ottavi basta superare la Nigeria nell’ultimo turno (e che l’Islanda non batta la Croazia già qualificata) impresa comunque proibitiva per la squadra allo sbando vista l’altra sera. Ma per il religiosissimo popolo argentino la fede è l’ultima a morire: “Credi ancora in Messi?”.“Sempre”. In fondo per loro il dio del calcio è ancora lui, il primo miracolo si è già compiuto.
Psicodramma albiceleste Spogliatoio spaccato dopo il ko con la Croazia, gli sfottò “Messi ciao” dei brasiliani. Ma gli africani sono la scialuppa per restare al Mondiale