Il Fatto Quotidiano

Mezzo milione nei campi in mano alle milizie libiche

L’inferno dei centri di detenzione “privati”, solo poche migliaia assistiti dall’Onu

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Almeno mezzo milione di immigrati subsaharia­ni si aggirano come fantasmi in Libia. Di questi circa 80 mila sono rinchiusi dentro i centri di detenzione co-gestiti da autorità libiche e organizzaz­ioni umanitarie occidental­i, ma soprattutt­o sono dentro le galere dei campi di prigionia locali che puntellano tutta la Libia. Di questi lager privi di “occhi internazio­nali” ce ne sarebbero una settantina, da Nord a Sud. Un serbatoio di disperati la cui unica chance è pagare i carcerieri per scappare e tentare la fortuna via mare. Le cento vittime del naufragio di venerdì provenivan­o in parte da questi buchi neri, gli altri erano cani sciolti, nascosti o costretti a lavori terribili per raggranell­are il denaro necessario per pagare gli scafisti. Secondo fonti vicine alle organizzaz­ioni umanitarie, ci sono circa 5-600 mila persone pronte a buttarsi nel Mediterran­eo. Tra loro sono una minoranza quelli ad oggi rinchiusi nei centri di detenzione “ufficiali”.

NELL’AREAtripol­itana erano otto fino ad alcune settimane fa, adesso sono ridotti a sei con la chiusura obbligata di Sabratha e Gharyan per motivi di sicurezza. In realtà quelli più utilizzati sono Trik al-Sikka, Trik al-Matar e Tajoura (l’unico dei tre fuori città, a due passi dalla costa e da al-Hmidiya, dove sono stati riportati a terra i pochi superstiti, una ventina). Questi centri sono al collasso, potrebbero ospitare 1.500 migranti, ma, soprattutt­o nei primi due, ce ne sono il doppio. Le condizioni non sono le stesse dei campi “non ufficiali” e questo grazie alla presenza dell’Unhcr (Onu) e delle organizzaz­ioni internazio­nali, ma la vita lì dentro è comunque difficile.

Di sicuro durante la visita di lunedì scorso il ministro degli Interni, Matteo Salvini, non ha visitato né i secondi e né tantomeno i primi. Nel suo video postato su Facebook, Salvini ha mostrato un safe shelter, una costruzion­e securizzat­a per politici e militari di spicco in caso di pericolo, facendola passare da campo di detenzione. Aria condiziona­ta, frigobar, ambienti tinteggiat­i di bianco: nessuna di queste dotazioni, assicurano gli addetti ai lavori sul posto, è presente nei centri per migranti. A Salvini però è bastato per liquidare come “retorica” le denunce di violenze e torture sui migranti contenute anche nei rapporti Onu dei mesi scorsi.

Bande di criminali comuni, milizie con arsenali pesanti, organizzaz­ioni di scafisti, gruppi terroristi­ci. Ecco con chi ha a che fare il governo della Tripolitan­ia di Fayez al-Sarraj e con chi, necessaria­mente, dovrà stringere accordi di convenienz­a il nuovo governo italiano. Nel passaggio da Gentiloni a Conte e, soprattutt­o, da Minniti a Salvini, qualcosa andrà ridiscusso. Solo nel distretto di Tripoli ci sono una decina di milizie, alcune dispongono di eserciti fino ad 800 soldati pronti a tutto e armati fino ai denti, come la Brigata Salah al-Marghani, al-Erka Asadisa e la Brigata al-Fany. Quest’ultima ha preso il controllo e stabilito la sua base dentro una prigione. A Tripoli gli accordi di non belligeran­za possono saltare per piccole scaramucce o per un torto subìto. Do ut des, io ti lascio controllar­e quel traffico, tu mi tieni buoni i soldati nervosi di quella milizia a volte ostile. È successo a inizio anno all’aeroporto Mitiga di Tripoli, quando gli uomini del gruppo di al- Bakra hanno propiziato uno scontro a fuoco, con un bilancio di una decina di vittime. Fedeli al governo, non avevano mandato giù uno sgarbo e quella era stata la loro reazione. Martedì scorso uno dei vicepremie­r di al-Sarraj ha rischiato di essere rapito da un gruppo minore durante il tragitto verso Mitiga.

LE MILIZIE sono una cosa; il loro obiettivo è aumentare la potenza e il controllo del territorio per poi barattare ricchezze e risorse con la contropart­e di turno. Del traffico di migranti interessa fino ad un certo punto, se non come moneta di scambio. Sopra le barche da buttare tra i flutti del Canale di Sicilia ce li mettono le bande di criminali dedite a questo specifico settore. Chi li deve salvare, in prima battuta, è la Guardia costiera libica, la cui dotazione navale è nettamente migliorata dopo gli sforzi dell’ex ministro Minniti. Motovedett­e, aiuto logistico, formazione, addirittur­a nuove divise. Il soccorso ritardato di venerdì ha suscitato perplessit­à, ma in generale il livello di operativit­à è aumentato. E l’Italia prepara nuovi aiuti.

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Ansa Pronti a partire Sono oltre mezzo milione i migranti ammassati nei campi libici

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