Mezzo milione nei campi in mano alle milizie libiche
L’inferno dei centri di detenzione “privati”, solo poche migliaia assistiti dall’Onu
Almeno mezzo milione di immigrati subsahariani si aggirano come fantasmi in Libia. Di questi circa 80 mila sono rinchiusi dentro i centri di detenzione co-gestiti da autorità libiche e organizzazioni umanitarie occidentali, ma soprattutto sono dentro le galere dei campi di prigionia locali che puntellano tutta la Libia. Di questi lager privi di “occhi internazionali” ce ne sarebbero una settantina, da Nord a Sud. Un serbatoio di disperati la cui unica chance è pagare i carcerieri per scappare e tentare la fortuna via mare. Le cento vittime del naufragio di venerdì provenivano in parte da questi buchi neri, gli altri erano cani sciolti, nascosti o costretti a lavori terribili per raggranellare il denaro necessario per pagare gli scafisti. Secondo fonti vicine alle organizzazioni umanitarie, ci sono circa 5-600 mila persone pronte a buttarsi nel Mediterraneo. Tra loro sono una minoranza quelli ad oggi rinchiusi nei centri di detenzione “ufficiali”.
NELL’AREAtripolitana erano otto fino ad alcune settimane fa, adesso sono ridotti a sei con la chiusura obbligata di Sabratha e Gharyan per motivi di sicurezza. In realtà quelli più utilizzati sono Trik al-Sikka, Trik al-Matar e Tajoura (l’unico dei tre fuori città, a due passi dalla costa e da al-Hmidiya, dove sono stati riportati a terra i pochi superstiti, una ventina). Questi centri sono al collasso, potrebbero ospitare 1.500 migranti, ma, soprattutto nei primi due, ce ne sono il doppio. Le condizioni non sono le stesse dei campi “non ufficiali” e questo grazie alla presenza dell’Unhcr (Onu) e delle organizzazioni internazionali, ma la vita lì dentro è comunque difficile.
Di sicuro durante la visita di lunedì scorso il ministro degli Interni, Matteo Salvini, non ha visitato né i secondi e né tantomeno i primi. Nel suo video postato su Facebook, Salvini ha mostrato un safe shelter, una costruzione securizzata per politici e militari di spicco in caso di pericolo, facendola passare da campo di detenzione. Aria condizionata, frigobar, ambienti tinteggiati di bianco: nessuna di queste dotazioni, assicurano gli addetti ai lavori sul posto, è presente nei centri per migranti. A Salvini però è bastato per liquidare come “retorica” le denunce di violenze e torture sui migranti contenute anche nei rapporti Onu dei mesi scorsi.
Bande di criminali comuni, milizie con arsenali pesanti, organizzazioni di scafisti, gruppi terroristici. Ecco con chi ha a che fare il governo della Tripolitania di Fayez al-Sarraj e con chi, necessariamente, dovrà stringere accordi di convenienza il nuovo governo italiano. Nel passaggio da Gentiloni a Conte e, soprattutto, da Minniti a Salvini, qualcosa andrà ridiscusso. Solo nel distretto di Tripoli ci sono una decina di milizie, alcune dispongono di eserciti fino ad 800 soldati pronti a tutto e armati fino ai denti, come la Brigata Salah al-Marghani, al-Erka Asadisa e la Brigata al-Fany. Quest’ultima ha preso il controllo e stabilito la sua base dentro una prigione. A Tripoli gli accordi di non belligeranza possono saltare per piccole scaramucce o per un torto subìto. Do ut des, io ti lascio controllare quel traffico, tu mi tieni buoni i soldati nervosi di quella milizia a volte ostile. È successo a inizio anno all’aeroporto Mitiga di Tripoli, quando gli uomini del gruppo di al- Bakra hanno propiziato uno scontro a fuoco, con un bilancio di una decina di vittime. Fedeli al governo, non avevano mandato giù uno sgarbo e quella era stata la loro reazione. Martedì scorso uno dei vicepremier di al-Sarraj ha rischiato di essere rapito da un gruppo minore durante il tragitto verso Mitiga.
LE MILIZIE sono una cosa; il loro obiettivo è aumentare la potenza e il controllo del territorio per poi barattare ricchezze e risorse con la controparte di turno. Del traffico di migranti interessa fino ad un certo punto, se non come moneta di scambio. Sopra le barche da buttare tra i flutti del Canale di Sicilia ce li mettono le bande di criminali dedite a questo specifico settore. Chi li deve salvare, in prima battuta, è la Guardia costiera libica, la cui dotazione navale è nettamente migliorata dopo gli sforzi dell’ex ministro Minniti. Motovedette, aiuto logistico, formazione, addirittura nuove divise. Il soccorso ritardato di venerdì ha suscitato perplessità, ma in generale il livello di operatività è aumentato. E l’Italia prepara nuovi aiuti.