Io, malata, di Parkinson Continuerò a divincolarmi e a correre sempre in avanti
CARA SELVAGGIA,
oggi pensavo di portarti nel mio (nuovo) mondo del Parkinson. L'anno scorso, a 46 anni, dopo un paio d'anni di disturbi neurologici, mi hanno diagnosticato il parkinson. Cazzo è stata la prima cosa che ho pensato. Cazzo... il parkinson ce l'aveva mio nonno Abramo. Ma aveva più di 70 anni e un nome decisamente peggiore del mio. Cazzo. Il parkinson mi toglie d'un colpo l'immagine di me in forma a 70 anni che avevo sempre avuto. Cazzo.... ho appena iniziato una storia d'amore e adesso lui è già autorizzato a darsela a gambe. Cazzo.... io ho paura! Ammetto che poi ho elaborato anche altre parole ma cazzo è e resta la mia preferita. Quella che rende più l'idea. Malattia degenerativa. Mi angoscia solo leggerla. Qui mi hanno rubato il futuro, ho pensato. E ero così arrabbiata... perché a me? Ero così terrorizzata... perchè proprio a me? Allora ho dato un nome al mio stalker: Parker. E, come con tutti i nemici, cerchi di fartelo amico. Di conoscerlo.
Parker è abbastanza tranquillo per adesso. La mano destra ha grosse difficoltà a scrivere; tremori sparsi che aumentano quando sono agitata (e io, come diceva mio padre, mangio pane e ansia per cui...); voce più bassa. E sono terribilmente più lenta in tutto. Ma quello che più mi fa male è che il mio viso ha cambiato espressività. Mi dicono, e lo vedo anche dalle foto, che sono più scavata in viso e che sono meno espressiva, soprattutto gli occhi. Questo mi angoscia, anche più del pensiero della (forse?) sedia a rotelle. Uno sguardo inespressivo. Il viso che si trasforma. Occhi che non parlano. I miei occhi hanno sempre fatto discorsi. E li fanno ancora adesso, ma sempre meno a quanto pare. Questo proprio non lo riesco ad accettare. Ho
paura. Tanta. Semplicemente. E gli psicologi che mi hanno consigliato (da cui per altro non ho intenzione di andare) non mi porterebbero mai via la paura che ho del futuro. Allora il futuro vedrò di costruirlo io. E quindi tanto movimento: palestra, camminate, yoga, pilates, tango e qualunque esercizio psicomotorio possa servire a cercare di fregare la dopamina. Quando la distribuivano ero evidentemente distratta ma adesso cerco di rimediare.
La storia che era appena iniziata, inoltre, non è finita. Lui non è per niente scappato. è ancora qui. ed è davvero presente. Lui ha ancora più voglia di me di zittire Parker. E mi godo il presente. Me lo godo tutto. Attimo per attimo. Concentrandomi su ciò che è davvero importante. Posso fare ancora tutto e lo farò assaporando anche i secondi. E quindi sono giunta alla conclusione che, per quanto assurdo, a conti fatti forse forse Parker è pur una risorsa. Ho sempre paura. Tanta. Tantissima. L'avrò sempre. Ma oggettivamente ci sono malattie degenerative ben peggiori della mia. Ho solo meno dopamina di tutti gli altri. E per quanto Parker mi tratterrà per un braccio, io continuerò a divincolarmi e a correre in avanti. E quando riuscirà a farmi lo sgambetto finale io mi guarderò indietro e sarò comunque soddisfatta.
PAOLA
TU, lo sgambetto gliel’ hai già fatto, cara Paola. Come diceva la grande Francesca Del Rosso (Wondy) prima che il tumore se la portasse via, “io non sono la mia malattia”. E sono certa che tu resterai Paola, non Parker, fino alla fine.
Contro i leoni da tastiera l’unica arma è la denuncia
Ciao Selvaggia, il mio comportamento è stato fortemente influenzato dalle varie denunce virtuali piccole o grandi che fai ogni giorno e dal fatto di non tenere mai la bocca chiusa, di voler sempre dire la tua. Ero in treno con un amico. Siamo entrambi gay. Nella fila davanti a me c’era un ragazzo. Noto che alza il telefono e fa un autoscatto utilizzando la fotocamera di WhatsApp. La foto, dove ci siamo io e il mio amico, viene inoltrata. Mi incuriosisco e allo stesso tempo mi indigno. Il ragazzo inizia a scrive- re. Praticamente il telefono era a meno di un metro da me. Leggo tutto: “Alla mia destra ho una tossica, a sinistra due cinesi e dietro due busoni, prova ad immaginare che viaggio sarà. Nella foto ci sono i due busoni”. Busone è un termine bolognese per definire gli omosessuali, nemmeno tanto carino da usare. Ero nervoso, ero triste, ero incazzato, mi stava salendo un malessere che non provavo da anni. Il mio amico cercava di calmarmi, mi diceva di sorvolare. Ma io non ce l’ho fatta e gli ho detto che “sarò anche busone, ma gli occhi per guardare ancora li ho”. Ovviamente si è immobilizzato e non ha risposto. Poco dopo ha iniziato freneticamente a scrivere su WhatsApp. Non so queste parole a cosa siano servite. Sicuramente non avrà cambiato idea, sicuramente ci avrà offesi con ancora più vigore, sicuramente dall’alto della sua presunta mascolinità avrà distorto e raccontato in modo diverso gli avvenimenti. Ma io mi sono sentito meglio. Se non avessi fatto così, avrei tenuto dentro questo malessere. Ho notato che come sfondo del telefono aveva una foto sua e di sua moglie, immagino neo sposini, giovanissimi. Il mio triste pensiero va ai figli che avranno.
ANDREA
Caro Andrea, la prossima volta ricambia la gentilezza e fotografa anche tu il leone di turno. Poi mandami la foto. Ho un milione di lettori su Facebook e potrei fargli provare l’ebrezza nel venire fotografati di nascosto e commentati. Vedrai che la prossima volta sul Frecciarossa fotograferà il menù di Cracco.