Il Fatto Quotidiano

Ludovica Zuccarini come la Figaro di Passaggi Festival Si fa con pochi soldi e molte ambizioni Ai ragazzi viene chiesto di dare una mano, di aiutarla a crescere

Si è concluso ieri a Fano l’evento dedicato alla saggistica. A far funzionare la macchina c’è una reginetta, a sua insaputa

- » NANDO DALLA CHIESA

Ride, sorride. Arrossisce dalla fronte al mento, come non ho mai visto nessuno. Ludovica Zuccarini sembra spuntata da un fumetto, di quelli che una volta incantavan­o i bimbi buoni. Un divertente impasto di modestia e di bravura, che in una 29enne di oggi ti arriva come una folgorazio­ne. “Lei non si meravigli però, io amo stare nelle retrovie, lo sanno tutti che sono una ragazza da seconda fila. Il momento più difficile qui a Fano? Quando una tv mi ha voluto intervista­re, un imbarazzo che non le dico”. E giù di nuovo una risata di gusto. Fano. In effetti qui Ludovica è diventata una reginetta a sua insaputa. “Passaggi”, il festival della saggistica di cui si è chiusa ieri sera la sesta edizione con il premio speciale dato (significat­ivamente) a Liliana Segre, è una manifestaz­ione che a Ludovica deve molto.

“COME CI SONO

arrivata? Mi conosceva il direttore, Giovanni Belfiori. Aveva lavorato con mio padre per la Confeserce­nti e pensò a me come volontaria quando fu tra gli organizzat­ori della festa nazionale dell’Unità a Pesaro nel 2006. Mio padre è socialista, l’ultimo rimasto, (ride) vabbé, diciamo uno degli ultimi. Ero una ragazzina, avevo 16 anni. Dopo di allora ho studiato all’università a Bologna, ho preso la specializz­azione in Comunicazi­one politica e pubblica, e ho pure fatto un Erasmus a Parigi.” Pronta per essere richia- mata a “Passaggi” nel 2015, poco prima dell’inizio, a metà maggio perché una ragazza se n’era andata via. “Sa, mi schiavizza­no sempre”. Nuova risata argentina, un po’ per dire che forse l’ha sparata grossa un po’ perché non si pensi mai che la chiamano perché è brava. Racconta di essere arrivata a Fano, lei che lavora tutto l’anno nell’albergo del padre a Pesaro, “senza pensarci troppo”, finendo in un evento di cui non sapeva nulla, e in cui fu co- stretta a immergersi senza scampo in un paio di giorni, insieme a una decina di volontari. Una manifestaz­ione con pochi soldi e molte ambizioni in cui anche a ragazzi come lei era chiesto di dare una mano, di aiutarla a crescere. Oggi non è più volontaria. “Passaggi” è un po’ diventato il suo lavoro. Secondo lavoro durante l’anno, perché il primo è comunque quello con suo padre; ma il primo e unico lavoro in maggio e giugno, i mesi di ferro. Sta

di fatto che per tutti e dodici i mesi è l’angelo custode di un direttore inquieto e scoppietta­nte, mai contento di quel che gli cresce tra le mani, che vorrebbe vedere il pubblico arrampicat­o sui lampioni, anche ottocento sedie in piazza XX settembre gli sembra che vadano “abbastanza bene”.

“ORMAI SIAMO TANTI.

Una decina di persone seguono l’organizzaz­ione anche di inverno. Poi quando arriva il momento magico ci si moltiplica. Questa volta abbiamo 60 studenti dell’alternanza scuola-lavoro e un’altra ventina di volontari senior, tra autisti, gestori delle piazze e redazione web. “Se li dirigo tutti io? Macché, io non dirigo nessuno”. E invece lo sanno tutti che a far funzionare una macchina complessa c’è lei. Ludovica come Figaro. Telefonate, appuntamen­ti, relazioni periodiche, sistemazio­ni, capricci da soddisfare, disdette da rimediare. Intorno a lei ruotano ospiti d’ eccezione: Massimo Cacciari o Marco Minniti, Tiziana Ferrario o Moni Ovadia, Marco Travaglio, Piero Angela, Alan Friedman, Luciano Fontana, Attilio Bolzoni. E Liliana Segre, appunto. “Ma io non riesco a godermeli. Quando l’ospite va sul palco io sono già da un’altra parte a pensare agli imprevisti dell’appuntamen-

to successivo, con i minuti contati. Gli arrivi, a volte le scorte, le cene veloci. I ritardi, le lamentele che non mancano mai. Eppure questo clima mi piace, mi appassiona, sento tutto quel che accade come se fosse una cosa ‘mia’. Lo vuol sapere qual è per me il momento più bello? È quando si spengono le luci l’ultima sera, quando noi volontari o addetti all’organizzaz­ione saliamo tutti insieme sul palco e salutiamo. E la gente contenta ci applaude nel buio. Lì realizzo d’incanto tutto il lavoro che ci siamo addossati, e mi sento felice due volte. Per quello che abbiamo fatto e perché final-

mente mi posso riposare”.

L’anno dopo la ritrovate sempre qui. Più brava e con più giovani intorno. Quando ho detto a Giovanni, il suo capo burbero e incontenta­bile, che mi era venuta voglia di scrivere di lei, gli si sono illuminati gli occhi: “se lo fai la rendi felice, e non immagini quanto”. Perché pure i timidi amano vedersi riconoscer­e i loro meriti. Anche se poi arrossisco­no dalla fronte al mento.

LA MANIFESTAZ­IONE

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Un successo Dal 27 giugno al primo luglio si è svolta la sesta edizione del Festival ideato e diretto da Giovanni Belfiori

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