Il Fatto Quotidiano

Depistaggi­o via d’Amelio: cosa fecero pm e giudici

Strage via D’Amelio Come chiesto dalla figlia, il Consiglio, alla luce delle motivazion­i del processo “quater”, si occuperà oggi della vicenda

- » GIUSEPPE LO BIANCO E SANDRA RIZZA

“Èstato un depistaggi­o di Stato, iniziato subito dopo la strage di Via D’Amelio. Ad organizzar­lo è stato qualcuno che sapeva come erano andate le cose e come era stato organizzat­o l’attentato, qualcuno che avrebbe potuto, quindi, arrivare ai veri autori della strage e che, invece, ha deciso che quella storia fosse raccontata in maniera distorta. E questo è terribile”.

SE FIAMMETTA Borsellino si concentra sulle responsabi­lità dei magistrati in questi 25 anni “buttati via’’, il giorno dopo il deposito delle motivazion­i l’ingegnere Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso in via D’Amelio, si interroga sull’origine di “uno dei più gravi depistaggi della storia italiana’’ come hanno scritto i giudici nelle motivazion­i del Borsellino Quater: “Paolo è stato ucciso perché era un pericolo per i centri di potere, oltre che per Cosa Nostra”, dice, e nel calderone del depistaggi­o tiene dentro tutti, magistrati, funzionari di polizia, carabinier­i e servizi e parte dalle fasi iniziali dell’indagine, nata da notizie vere affidate ad un trio di balordi del quartiere Guadagna: “I funzionari infedeli coinvolti – dice il fondatore delle Agende Rosse ai microfoni di Radio Cusano Campus – o avevano una fonte che li informava di come si stavano preparando le cose, oppure erano direttamen­te implicati nell’attentato, come peraltro rivela Spatuzza, che sostiene che nel garage dove l’automobile veniva riempita di tritolo era presente una persona che sovrintend­eva alle operazioni e che non era un mafioso”. Depistaggi­o proseguito, secondo Salvatore Borsellino, con la sparizione dell’agenda rossa: “C’era qualcuno, al corrente di quanto sarebbe successo, che attendeva di potersi avvicinare alla macchina di Paolo e prendere la borsa dove era contenuta l’agenda’’. E alla fine il fratello del giudice ucciso punta il dito contro i magistrati impegnati a gestire la fase processual­e tra Capaci e via D’Amelio: “Paolo stava indagando sulla strage di Capaci e gli venne impedito di andare a testimonia­re, è stato ucciso anche per questo. Con la sentenza sappiamo che quei magistrati che gli impedirono di testimonia­re a Caltanisse­tta erano al corrente del depistaggi­o, sono colpevoli di averlo avallato: la sua audizione è stata ritardata per dare il tempo di ucciderlo”.

IL RIFERIMENT­O è al procurator­e Giovanni Tinebra, oggi defunto, citato nelle motivazion­i del quater come autore della richiesta “irrituale” di collaboraz­ione alle indagini dell’ex numero tre del Sisde Bruno Contrada. E mentre sulla strage di via D’Amelio si torna ad invocare la commission­e Antimafia (lo chiedono Carmelo Miceli, Pd, e Erasmo Palazzotto, Leu), il Csm in una nota rende no- to che oggi il Comitato di presidenza “si occuperà della vicenda (la pratica avviata da mesi sulla base di una nota di Fiammetta Borsellino, ndr) alla luce del deposito della sentenza”. La stessa Fiammetta, poi, in un’intervista al F at t o aveva dichiarato di aver provato domenica a mettersi in contatto con il capo dello Stato Mattarella. Sul punto il Quirinale precisa: “Non è stata trovata alcuna traccia della telefonata, ma se la signora Borsellino chiamerà il presidente sarà lieto di risponderl­e”.

Intanto il pm Nico Gozzo, già procurator­e aggiunto a Caltanisse­tta, scrive su Fb: “Dopo anni e anni di sottovalut­azione del lavoro svolto mi aspetterei che alcune persone facessero autocritic­a”, riferendos­i ad “alcune parti civili” che a quel lavoro “avrebbero dovuto unirsi, e non contrappor­si”. Secondo l’Ansa il riferiment­o è alla parte civile Borsellino, rappresent­ata dall’avvocato Fabio Repici, che però nega.

Il Quirinale “Nessuna telefonata da Fiammetta, ma il presidente sarà lieto di risponderl­e”

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