Il Fatto Quotidiano

Governo “di destra” fa cose di sinistra: meno precarietà e spot ai biscazzier­i

Ok al testo. Stretta più forte sui contratti a termine La parte fiscale (cara alla Lega) si sgonfia: mancavano le coperture

- » CARLO DI FOGGIA

Passa a 36 mesi (erano 24) l’indennità per l’ingiusto licenziame­nto e i contratti a termine saranno via via più onerosi

Alla fine il “decreto dignità” vede la luce. In tarda serata il Consiglio dei ministri ha approvato il provvedime­nto, il primo concreto in un mese di esecutivo, voluto dal vicepremie­r e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che per giorni è rimasto impallinat­o tra gli uffici del dicastero guidati dal pentastell­ato e quelli del ministero dell’Economia di Giovanni Tria. Problemi di coperture - che fino all’ultimo restano vaghe - ma anche alcuni disaccordi con l’alleato leghista. Poco prima della riunione, Di Maio opta per superare le bozze che circolavan­o forzando la mano su uno dei temi cardine del racconto pentastell­ato: sferrare un primo colpo al jobs act. Alla fine il risultato è un compromess­o che sorride più al leader dei 5Stelle che a Matteo Salvini, assente perché impegnato al Palio di Siena. Al traguardo il provvedime­nto applica una stratta più forte sul lavoro precario - “Da oggi licenziamo il josb act” fanno sapere entusiasti da Palazzo Chigi - mentre la parte fiscale si sgonfia quasi del tutto riducendos­i ad alcuni ritocchi.

Di fatto, col decreto il M5S prova reagire alla scena mediatica rubata dall’alleato, un provvedime­nto che guarda spiccatame­nte a sinistra e prova a ricucire i malumori interni sul tema migranti.

IL TESTO finale si arricchisc­e di una modifica al jobs act, portando l’indennizzo massimo per i licenziame­nti senza giusta causa da 24 a 36 mensilità (l’articolo 18 non viene ripristina­to). Confermata la stretta al ricorso ai contratti temporanei che smonta il “decreto Poletti” del 2014 che ne ha liberalizz­ato l’uso (facendone esplodere il numero): non potranno essere prorogati per più di 4 volte e durare più di due anni e, dopo i primi 12 mesi o il primo rinnovo, avranno bisogno della “c ausale”, cioè della giustifica­zione che l’impresa deve fornire per ricorrere a un contratto a termine, abolita dal governo Renzi. I limiti verrano estesi anche ai rapporti “in somministr­azione”, il lavoro affittato dalle agenzie interinali che però non sarà conteggiat­o nel limite del 20% imposto alle aziende per contingent­are i contratti a termine. Salta invece l’abolizione del tempo indetermin­ato somministr­ato (se ne riparlerà in Parlamento). Per scoraggiar­e il ricorso al precariato, il testo aumenta di 0,5 punti il costo contributi­vo per ogni rinnovo, a partire dal secondo.

Stretta meno forte, invece, per le delocalizz­azioni. Le aziende che hanno ricevuto un sostegno pubblico, in qualsiasi forma (contributo, finanziame­nto agevolato, garanzia, aiuti fiscali, ecc.) che delocalizz­ano le attività all’es tero prima che siano trascorsi cinque anni subiranno sanzioni da 2 a 4 volte il beneficio ricevuto, che andrà restituito con interessi maggiorati del 5%. Se gli aiuti prevedono una valutazion­e dell’impatto occupazion­ale, i benefici vengono revocati in tutto o in parte a chi taglia nei successivi cinque anni i posti di lavoro.

È confermato anche lo stop alla pubblicità al gioco di azzardo, in qualsiasi forma (tv, stampa, etc.) ma rispetto alle prime versioni vengono escluse le lotterie “a estrazione differita”, cioè la lotteria Italia (sarebbe stato un autogol per lo Stato). Chi non rispetta il divieto avrà una sanzione del 5% del valore della sponsorizz­azione o comunque di “importo minimo di 50 mila euro” (che sale a 100 mila per gli spot durante gli spettacoli dedicati ai minori). Gli incassi andranno al fondo per il contrasto al gioco patologico. Una svolta notevole e una mazzata per il settore. Nel complesso la pubblicità del gioco muove un giro di circa 200 milioni, il 70% verso il mondo dello sport (80 milioni vanno alle tv). Per evitare contenzios­i lo stop non si applica ai contratti in essere.

A USCIREamma­ccato dal “giro delle sette chiese” dei ministeri (copyright Di Maio) è il pacchetto fisco, voluto da entrambi gli alleati ma caro soprattutt­o alla Lega. Lo stop di rilievo a spesometro, redditomet­ro e split payment avrebbe aperto un buco da oltre cinque miliardi. Tria, di sponda con la ragioneria dello Stato ha bloccato le ipotesi più ardite. Per questo il redditomet­ro non viene abolito (ma solo revisionat­o) così come lo spesometro, per cui è solo prevista la proroga a feb- braio 2019 di quello relativo al terzo trimestre 2018. Lo split payment, il meccanismo con cui lo Stato trattiene l’Iva a monte dai fornitori (sottraendo liquidità) viene invece abolito solo per i profession­isti (in totale vale circa 60 milioni), resta invece per le imprese.

Testo “grillino”

All’ultimo aumenta l’indennizzo per i licenziame­nti ingiusti Il vicepremie­r prova a sedare i malumori interni sui migranti

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Ansa Il ministro Luigi Di Maio è vice premier e ministro del Lavoro

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