ANDREA RANIERI E LA SPERANZA DELLA SINISTRA
Pubblichiamo un estratto della postfazione di Tomaso Montanari ad Andrea Ranieri, “La memoria e la speranza. Oltre le macerie della sinistra”, Castelvecchi 2018.
Lapolitica di Andrea Ranieri si nutre di parole e di pensieri non troppo lontani da quelli del poeta Franco Marcoaldi: il sindacalista e il poeta, “accomunati dalla lingua della medesima tribù”. Una tribù battuta, dispersa, dissanguata dai suoi stessi mille tradimenti: eppure ancora viva per la più elementare delle ragioni. E cioè che, in un mondo sempre più terribilmente ingiusto e diseguale, a qualcuno – a molti – viene “spontaneo, naturale opporsi ad ogni forma” di ingiustizia.
IL LIBRO DI RANIERI – un libro forte e vero, a tratti poetico e comunque ardente e inconsuetamente alto per il discorso politico italiano di oggi – è fatto di queste due cose, indissolubilmente intrecciate: le ragioni e i sentimenti di chi, fin da bambino, credeva in “un comunismo dalla parte dei deboli, e della ragione che vinceva sempre sul torto”. [...]
Il 4 marzo 2018 gli italiani hanno trovato la forza di gridare “non possiamo continuare a vivere così” (Tony Judt). Ma non c’era una sinistra ad ascoltarli.
E allora, da dove ripartire? Jor- ge Maria Bergoglio ha scritto: “Non serve un progetto di pochi per pochi”. È vero anche per la sinistra in Italia: serve un progetto di tanti per tanti. Un progetto ca- pace di ricostruire un popolo: un soggetto politico consapevole, l’unico attore possibile di un vero, radicale cambiamento di sistema.
E al centro di questo progetto può esserci una sola cosa: il lavoro. Cioè il tema a cui Andrea Ranieri ha dedicato tutta la sua vita di studio e di militanza.
Perché è drammaticamente evidente che non si tratta di rimettere in piedi una classe dirigente, per quanto rinnovata e consapevole essa riesca ad essere, né è questione di immaginarsi una nuova struttura, o una più efficiente organizzazione (di partito, o dimovimento). Di fronte alla desolazione di queste macerie appare invece chiaro che si tratta di ricostruire un popolo: di ricostruirlo socialmente e culturalmente, ancora prima che politicamente.
Ed è qua che i pensieri e le parole di Andrea Ranieri possono giocare un ruolo importante. Nelle pagine programmatiche che restano l’eredità più limpida del Brancaccio – insieme allo spirito nuovo che soffiava in quella sala il 18 giugno 2017 e che poi ho sentito in tante assemblee in tutta Italia – proprio Ranieri ha scritto che “la buona scuola reale è quella che interroga il mondo per cambiarlo, non quella che insegna ad adattarsi al mondo com’è”. È un’idea cruciale, detta in modo perfetto: e vale anche per la sinistra.
Una sinistra che interroga il mondo è una sinistra che vuole innanzitutto studiare, sapere, vedere dentro le cose. Una sinistra che vuole capire. E capendo costruire i presupposti per un’azione rinnovata e incisiva. In modi nuovi: certo più simili al mutualismo profondamente politico praticato da tante nuove realtà che costellano l’Italia, che non a quello dei partiti in cui si è consumato l’ultimo e definitivo tradimento della sinistra italiana.
SCEGLIENDOCI i“compagni – scrive Ranieri – tra quelli che quotidianamente si occupano della loro salute e del loro cibo, del loro vivere e del loro abitare, che mettono in piedi mense popolari e occupano case, che insegnano le parole per esprimersi ai migranti e agli zingari, che cercano di costruire organizzazione fra i precari del lavoro cognitivo e fra i disperati della logistica”.
Non un progetto a nome dei poveri, o con la delega dei poveri: ma – è ancora Ranieri – “i poveri, che provano tutti insieme a difendere e a rendere migliore la propria vita, sono gli unici che possono salvare il mondo dallo sfacelo. Dallo sfacelo provocato dai consumi e dalla cultura dei ricchi”.