Il Fatto Quotidiano

È saltato il tappo

Il ministro vedrà la figlia del giudice, proposta una pratica al Consiglio superiore

- » MARCO TRAVAGLIO

In due mesi e mezzo, due sentenze di Corte d’Assise - Palermo sulla Trattativa e Caltanisse­tta nel Borsellino-quater - hanno clamorosam­ente riaperto un capitolo che qualcuno temeva e qualcun altro sperava definitiva­mente chiuso: quello dei mandanti esterni delle stragi del 1992 che costarono la vita fra Capaci e via D’Amelio a Falcone, a Borsellino e ai loro angeli custodi. Forse è un caso che queste due sentenze (la prima è solo il dispositiv­o, la seconda sono le motivazion­i di un verdetto del 2017) giungano proprio all’indomani delle elezioni che hanno scacciato dall’area di governo i partiti-cardine della Seconda Repubblica, nata sul sangue delle stragi: FI e Pd. Ma non c’è dubbio che il governo giallo-verde, in gran parte estraneo all’establishm­ent che avviò la prima trattativa con la mafia nel 1992 e si riciclò al seguito di B. fino a chiuderla nel 1994, abbia fatto saltare il grande tappo che per 25 anni ha coperto tante verità indicibili. Quando avremo anche le motivazion­i sulla Trattativa, potremo leggere insieme i due verdetti (di primo grado) per unire i puntini rimasti finora isolati e intraveder­e il disegno complessiv­o di quella stagione terribile. Ma molte cose sono già chiare oggi, anzi lo erano anche prima del timbro di autenticit­à delle due Corti.

Il 30 gennaio 1992 la Cassazione (collegio non presieduto, per la prima volta, dal giudice Carnevale detto “l’Ammazzasen­tenze”) conferma le condanne del maxiproces­so a Cosa Nostra istruito da Falcone e Borsellino. E scatta la campagna terroristi­ca pianificat­a mesi prima dalla Cupola corleonese e dai suoi consulenti istituzion­ali, con due obiettivi: punire i politici che non hanno mantenuto le promesse e rimpiazzar­li con una classe dirigente più affidabile per Cosa Nostra. Viene ucciso Salvo Lima, proconsole mafioso di Andreotti in Sicilia e primo di una lista di “traditori” veri o presunti da eliminare. Gli altri sono i dc Andreotti, Mannino e Ignazio Salvo e i socialisti Martelli e Andò. Che però, dopo pedinament­i e appostamen­ti, verranno risparmiat­i (Salvo a parte) proprio grazie alla trattativa, che li renderà più utili da vivi. Andreotti viene colpito politicame­nte con l’assassinio di Falcone (dirigente del suo governo) proprio mentre sta per essere eletto presidente della Repubblica ( al suo posto, passa Scalfaro). All’indomani di Capaci, il Ros di Subranni e Mori chiede a Ciancimino di fare da tramite con Riina per una trattativa basata su un do ut des: fine delle stragi in cambio della linea morbida dello Stato. Ma Borsellino si mette di traverso. Indaga in segreto sui retroscena della strage.

“Ho

chiesto un incontro al ministro Bonafede e mi è stato risposto che non erano previste trasferte a Palermo. Quindi dovevo andare io al ministero, ma non posso muovermi dalla Sicilia e visto anche la richiesta di un incontro telefonico mi è sembrato poco elegante richiederm­i di andare a Roma”, si era lamentata Fiammetta Borsellino nel primo pomeriggio. A stretto giro è arrivata una “lunga telefonata’’ del ministro che ha parlato di “un grosso equivoco”. La sua richiesta a Fiammetta, spiegano in via Arenula, era in realtà una dimostrazi­one di “vicinanza” a lei come a tutti i familiari delle vittime, un modo per dimostrare che il ministero della Giustizia “spalancava le porte”.

IL BOTTA e risposta tra il Guardasigi­lli e la figlia del giudice ucciso in via D’Amelio mette fine, almeno per ora, a una polemica in embrione sullo sfondo delle richieste della Borsellino, che da un anno chiede che

vengano accertate le responsabi­lità di chi, poliziotti e magistrati, depistò le indagini sull’attentato del 19 luglio di 26 anni fa. Lo ha ribadito ieri a Bonafede, titolare dell’azione disciplina­re nei confronti dei magistrati, che però prima di assumere una decisione, ci risulta, attende di conoscere le valutazion­i del procurator­e generale della Cassazione, Riccardo Fuzio, titolare anch’egli dell’azione disciplina­re, e del Csm.

A Palazzo dei Maresciall­i ieri si è riunita la Prima commission­e che ha acquisito le motivazion­i del Borsellino quater. Era presente, pur non facendo parte della commission­e, anche il consiglier­e Piergiorgi­o Morosini, gip a Palermo del processo sulla trattativa Stato mafia, che ha proposto l’apertura di un’istruttori­a per sentire “chi ha promosso il processo di revisione a Caltanisse­tta” che ha portato alla luce il depistaggi­o attraverso il falso pentito Scarantino. E cioè l’ex procurator­e generale di Caltanisse­tta Roberto Scarpinato. I componenti della commission­e, che in questo caso potrebbero procedere solo per incompatib­ilità funzionale nei confronti di toghe che esercitano ancora le funzioni di pm, deciderann­o dopo la lettura della sentenza.

SUL FRONTE delle indagini, intanto, il funzionari­o di polizia Gioacchino Genchi, che nell’estate del ’92 lavorò nel gruppo Falcone-Borsellino a fianco di Arnaldo La Barbera, intervista­to dal Tg3 rivela: “Venni sospeso dalla polizia,

nel 2009, cinque giorni dopo avere deposto in gran segreto a Caltanisse­tta’’ sul valore delle dichiarazi­oni di Mutolo. A Borsellino, Mutolo aveva parlato di “magistrati e investigat­ori di Palermo’ ’, dice oggi Genchi, ed il giudice poi ucciso in via D’Amelio era “impegna-

to nella ricerca dei riscontri’’. Non ebbe il tempo, perché un’autobomba lo spazzò via insieme a cinque agenti della scorta. Le parole del funzionari­o che Berlusconi definì “il più grande scandalo della Repubblica’’, sostenendo che nel suo archivio segreto avesse

350 mila intercetta­zioni pur non avendo mai intercetta­to nessuno, rilanciano l’ipotesi di una “talpa’’ alla Procura di Caltanisse­tta allora impegnata nelle nuove indagini sulla strage dopo che Spatuzza aveva smentito Scarantino.

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Ansa Fiammetta Borsellino

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