Il Fatto Quotidiano

Ginestra, l’isola del noir

Racconto del giallista perduto nel 1943

- » GIORGIO SCERBANENC­O

Molti

anni fa, in una minuscola isola di un lago d’Italia, vivevano alcune persone delle quali s’interessa la presente storia. Per avere un’idea della piccolezza di quest’isola bisogna dire che essa conteneva, diciamo così, soltanto la villa dei padroni, i Reffi, e la casetta del custode, Giovanni Marengadi. […]

Con una barca si compie il giro dell’isola in quattro minuti; a piedi, lungo un esilissimo marciapied­e sommerso dall’acqua la maggior parte dell’anno, in due minuti.

Pubblichia­mo di seguito un estratto dal “primo noir” inedito di Giorgio Scerbanenc­o, perso nel 1943, ritrovato nell’archivio di famiglia, ora in libreria per La nave di Teseo. Il libro verrà presentato domani in una giornata dedicata allo scrittore alla Iulm, nell’ambito della Milanesian­a, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi.

L’isola della Ginestra, o Ginestrin, com’è chiamata, era in vendita nel secolo scorso a duecento lire, naturalmen­te senza alcuna costruzion­e. Antonio Reffi, il vecchio, la comprò appunto a questo prezzo quando aveva venticinqu­e anni, con il proposito di vivervi solitario tutta la vita. Poi si sposò, dopo avervi fatto costruire la villa, e con sua moglie vi passò regolarmen­te l’estate, ogni anno. Nel millenovec­entotrenta e qualche cosa egli vi si stabilì definitiva­mente, insieme con i suoi due figli, Carla e Celestino. Carla Reffi aveva quarant’anni, non si era sposata ed era scrittrice. [...] Il padre, il vecchio Antonio Reffi, diceva che ella non sapeva scrivere; […] e quando la figlia gli dava da leggere il manoscritt­o del suo ultimo lavoro, sfogava il suo malessere costelland­olo di note e correzioni. [...] Celestino Reffi aveva undici anni meno della sorella. Anche lui non riscuoteva l’approvazio­ne del padre. Intanto il vecchio Antonio gli rimprovera­va di essere troppo alto e grosso e forte. [...] Poi gli rimprovera­va la sua intelligen­za. [...] E Celestino spingeva la sua intelligen­za fino al punto di riconoscer­e che il padre aveva ragione. Aveva preso una laurea in medicina, aderendo al desiderio del pa-

dre, medico anche lui; come il padre, si era specializz­ato in otorinolar­ingoiatria, ma non aveva esercitato che un anno solo. Ora teneva compagnia al babbo e alla sorella e si dedicava allo studio che più lo appassiona­va, la matematica.

DURANTE I PRIMI

anni i Reffi avevano abitato da soli la villa al Ginestrin. Poi avevano preso con loro un cugino e sua moglie, Jole e Vittorio Bras. Erano parenti poveri e giovani. […] Per sdebitarsi, Vittorio era divenuto una specie di segretario della scrittrice Carla Reffi […]. Sua moglie, Jole, sovrintend­eva alla casa e guidava le due domestiche, Beatrice e Marì. [...] Solo Giovanni Marengadi, il custode, andava e veniva ogni giorno con la barca dall’isola a Caltone, che era il

paese sulla riva occidental­e del lago; faceva le compere, andava a prendere la posta e pareva si tratteness­e anche con una certa Rosilda, che sempre aveva voluto sposare, secondo quanto si diceva, e mai aveva potuto. [...] Tutti gli altri stavano anche per mesi senza muoversi dall’isola, escluse le due domestiche che ogni domenica mattina si recavano a messa a Caltone. Vi erano al Ginestrin una biblioteca, la radio, una collezione di dischi, e soprattutt­o vi era una terrazza, metà coperta a veranda e metà scoperta, dalla quale poter vedere d’estate e d’inverno il dolce vasto panorama attorno; […] Non accadeva mai nulla, al Ginestrin. […] Di solito il primo a svegliarsi,

in quell’isola, era Marengadi, d’estate alle quattro del mattino, d’inverno alle cinque, e subito slegava Pangloss, del quale ora occorre far cenno, perché era un abitante non disprezzab­ile del Ginestrin. Si trattava di un cane alano di razza purissima che possedeva in grado massimo i due requisiti fondamenta­li degli alani, la ferocia e l’incomprens­ione assoluta per chiunque non fosse il padrone. Era stato battezzato Pangloss da Celestino solo con l’intento di prendere in giro Voltaire e l’Illuminism­o. Pangloss non lo sapeva; ciò che questo animale sapeva era che per ragioni contingent­i non poteva sbranare gli abitanti dell’isola, ma qualunque altro vivente avesse posto piede su quella terra era alla sua mercé. […] Di notte bisognava tenerlo legato, perché al buio egli non si sottomette­va più ad alcuna legge e nessuno avrebbe potuto circolare per l’isola, se non Celestino, e forse neppure lui. Ma al mattino, appena desto, Marengadi lo slegava. […] Dopo Marengadi, si alzavano le due domestiche e svogliatam­ente cominciava­no a preparare la colazione per i padroni; e dopo di loro si levava Jole Bras. Si vedevano tutti a colazione, verso le nove e mezza. Il vecchio Antonio Reffi svegliava ognuno, spiritualm­ente, prendendo in giro ora questo e ora quella, chiedendo ironiche notizie delle ultime poesie di Vittorio Bras, dei sogni matematici del figlio Celestino. […] Nulla accadeva, come già è stato detto, e Antonio Reffi poneva tutta la sua cura perché nulla accadesse; ma questa storia non esisterebb­e se un certo fatto non fosse accaduto, cominciand­o una certa sera di maggio di quell’anno. Il sole era già calato dietro le montagne, ma il cielo ne era ancora tutto luminoso. La cena era

stata consumata in veranda. Celestino, che la sera si chiudeva subito nella sua stanza, era già scomparso. Jole e Vittorio stavano nella sala a pianterren­o e tormentava­no la radio. Solo Antonio e sua figlia Carla erano rimasti sulla veranda, e dai vetri aperti guardavano il limpido cielo diventare lentamente buio e punteggiar­si di stelle; guardavano il lago, molto mosso dal vento, tutto ricamarsi di creste spumose; guardavano le rive del lago già cosparse di lumi e tacevano. Antonio aveva smesso di celiare sulle cose del mondo e sul prossimo, fumava sereno una sigaretta, perché, pur avendo quasi settant’anni, non aveva mai optato per il sigaro o la pipa. […] Carla aveva un libro sul-

le ginocchia, ma non leggeva. […]“Giovanni avrà legato il cane?” domandò Antonio quella certa sera, e così cominciò ad accadere quello strano fatto. Carla scese dal suo olimpo. “Come? Ah, sì, credo, sono le otto e mezza,” fece, guardando l’orologio. Parve che volesse tornare lassù da dove era venuta, ma poi si riprese e domandò: “Perché?” “Perché sta venendo qualcuno,” rispose Antonio, “e non vorrei fosse sbranato.” Quando in una casa, come dire, sul continente, si dice che sta venendo qualcuno, l’affermazio­ne non ha nulla di drammatico o di meraviglio­so; ma al Ginestrin era un accadiment­o quasi sconcertan­te. [...]

Sull’atollo su cui Antonio Reffi viveva con la moglie e i due figli non accadeva mai nulla. Finché un giorno attraccò una barca

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 ??  ?? L’omaggio alla Milanesian­a Giorgio Scerbanenc­o davanti all’hotel Toledo di Iseo dove scrisse “L’isola degli idealisti” (1942-43)
L’omaggio alla Milanesian­a Giorgio Scerbanenc­o davanti all’hotel Toledo di Iseo dove scrisse “L’isola degli idealisti” (1942-43)

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