Da Confindustria al Pd: tutti contro il dl dignità Solo Cgil e Cisl aprono
I sindacati lanciano segnali positivi. Industriali furiosi. Per Leu e Pap è “insufficiente”
Il decreto dignità guarda a sinistra anche se la sinistra, o quel che ne resta, si volta dall’altra parte. Segnali positivi invece dalla Cgil mentre insorge Confindustria.
Ieri il governo ha presentato il provvedimento, nella prima vera conferenza stampa da quando si è insediato, alla presenza del premier Giuseppe Conte, del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti e del ministro Luigi Di Maio. Soddisfazione evidente di quest’ultimo che segna il primo punto da quando è in carica mentre il numero due della Lega, Giorgetti, ha tenuto un atteggiamento più defilato limitandosi a sottolineare le modifiche che il suo partito ha chiesto e ottenuto. Non proprio un entusiasmo incontenibile.
IL DECRETO , del resto, non è che modifichi drasticamente le condizioni di vita dei precari limitandosi a ridurre il numero dei rinnovi possibili e limitando a 12 mesi il periodo massimo per i contratti a tempo determinato estendibile di altri 12 mesi qualora la causale sia chiara. Non molto, ma nemmeno poco, sicuramente un’inversione di tendenza rispetto a quanto fatto negli ul- timi venti o trent’anni. E infatti la Confindustria reagisce furiosamente accorgendosi del “primo segnale negativo per le imprese” da diverso tempo. Il presidente di Confindustria Veneto, Matteo Zoppas, paventa addirittura “la chiusura delle aziende” mentre la Confindustria nazionale parla di rischio per la vocazione manifatturiera dell’industria italiana che rischia di essere disincentivata e lamenta anche “l’i nterminabile corsa elettorale” che dividerebbe il mondo del lavoro e penalizzerebbe le imprese. Anche per questo, in conferenza stampa, Conte ribadisce la vocazione “sociale” del governo improntata al patto tra imprese e lavoro mentre Di Maio osserva che “chi non compie abusi non ha nulla da temere” e cerca di rassicurare gli industriali preannunciando una misura di riduzione del costo del lavoro sia pure solo per le categorie “del Made in Italy e tecnologiche”.
A fianco di Confindustria, oltre a Forza Italia, c’è ovvia- mente il Pd, artefice del Jobs Act. Paolo Gentiloni invita a lasciare stare “la dignità” e accusa il decreto di essere un “ostacolo al lavoro”. Carlo Calenda prevede che l’occupazione diminuirà, mentre il reggente Maurizio Martina si limita alla battuta: “Nel decreto c’è poca dignità”. Come se nel Jobs Act ce ne fossa in quantità. Anche Giorgia Meloni attacca paragonando Di Maio “al Pci degli anni 80”, alimentando così una girandola di dichiarazioni ad effetto, tipicamente da Twitter, ma anche svincolate dal merito dei problemi. Basterebbe notare semplicemente i fatti: si inverte una tendenza alla liberalizzazione dei rapporti di lavoro anche se, su input della Lega, non c’è un vero cambiamento.
Nel resto della sinistra che si era battuta contro il Jobs Act, Liberi e Uguali e Potere al popolo, la parola d’ordine è che il decreto è “insufficiente” ma la predisposizione al dialogo è annunciata da Roberto Speranza coordinatore di Articolo 1 e deputato di LeU: “Dico la verità, le aspettative erano molto più alte eppure le modifiche alla disciplina dei contratti a tempo determinato e l’a umento dell’i ndennizzo nel caso di licenziamenti ingiusti vanno nella direzione giusta”.
Le parole sono in sintonia con quanto viene espresso dal sindacato che con Cgil e Cisl si dispone a una timida apertura: per Annamaria Furlan, segretario Cisl, nel decreto ci sono “rilevanti questioni di fondo” e quindi “più certezza per i giov an i ”. Apre anche Susanna Camusso, segretario della Cgil: “La prima impressione è che ci sono degli argomenti giusti ma poco sviluppati, affrontati in modo parziale”. Ma ricorda: “Noi abbiamo sempre rivendicato il ritorno dell’articolo 18. E se non erro lo stesso ministro durante la campagna elettorale aveva sostenuto questa tesi”. Preoccupa il possibile ritorno dei voucher, chiesto dalla Lega (“Per colf e agricoltura se ne può parlare” ha detto ieri Di Maio).
APERTURA anche da uno dei dirigenti sindacali più noti, Maurizio Landini: “Penso che ci siano alcune novità positive che vanno nella direzione giusta”, dice l’ex segretario della Fiom e oggi componente della segreteria confederale della Cgil. Da sindacalista avvertito Landini coglie l’importanza di aver reintrodotto le causali sui contratti a termine, lo strumento più concreto per garantire che siano davvero attivati su esigenze temporanee e non come sostitutivo di contratti a tempo indeterminato. “Q ui scattano dopo il dodicesimo mese - aggiunge Landini - e io avrei preferito che fossero estese a tutte, ma credo sia un elemento di novità”.
Non tale da modificare il Jobs Act che resta un obiettivo del sindacato, anche tramite quella Carta dei diritti del lavoro, a suo tempo varata anche con il contributo di giuristi come Piergiovanni Alleva, oggi nello staff di Di Maio.
Dietro i proclami Il testo inverte una tendenza di 20-30 anni, ma non scalfisce il Jobs Act, a cui punta la sinistra
Ci sono degli argomenti giusti ma ancora poco sviluppati Ricordo che Di Maio vole va ripristinare l’articolo 18
SUSANNA CAMUSSO
Pessimo segnale, negativo per le imprese Così si rischia la chiusura delle aziende
CONFINDUSTRIA NAZIONALE