Il Fatto Quotidiano

“Giusto vietare la pubblicità, distorce la realtà”

”La sponsorizz­azione influisce sulla rappresent­azione del fenomeno e produce dipendenza”

- STE. CA.

“Maledetti

e subito ma senza contabiliz­zare i costi sociali, clinici e finanziari di questa scelta. Insomma lo Stato ha legato il proprio guadagno al danno sociale e sanitario dei propri cittadini”. Parola del professor Maurzio Fiasco, tra i più importanti analisti italiani del fenomeno dell’azzardo di massa. Professore, partiamo dal fondo: divieto di pubblicità di giochi e scommesse? Una priorità?

Ma certo che lo è. Gli italiani nel 2017 hanno speso 102 miliardi nell’acquisto di gioco d’azzardo. E come sappiamo, l’azzardo non è una mutua, e se anche il volume delle vincite ammonta a circa 80 milioni, la maggior parte dei giocatori resta a mani vuote. E le dipendenze patologich­e sono in crescita costante.

Colpa della pubblicità? Anche. Pubblicità e sponsorizz­azioni agiscono in tre di- rezioni. La prima, ovviamente, è quella di incrementa­re il consumo. La seconda, assai più insidiosa, è offrire uno scambio di aleacon agon, ossia trasformar­e un gioco di fortuna in uno di abilità. Ed è il caso delle scommesse sportive: si associa un pronostico su un evento agonistico (frutto di abilità) a un elemento di azzardo (frutto del caso). La percezione del giocatore ( specie nelle fasce più giovani) è quella della messa alla prova. Poi c’è il terzo elemento, il più dannoso: la pubblicità influisce sulla rappresent­azione del fenomeno e produce la dipendenza.

In che senso?

Le faccio un esempio. Normalizza­re il gioco d’azzardo è come dire che i danni del fumo dipendono dalle caratteris­tiche del fumatore e non dal fatto che fumare fa male. Giocare è normale ed è bello, chi si fa male, lo fa per colpa sua. Il problema è nel soggetto, non nelle caratteris­tiche della struttura industrial­e dell’apparato.

Lo Stato però guadagna molto dal gioco d’azzardo, come la mettiamo?

È un guadagno viziato. Altri avvengono a conclusion­e di un ciclo: produzione lavoro e consumo. Non usciremo mai dalla crisi se non con un approccio sistemico: il gioco d’azzardo ha una filiera molto corta, per l’online bastano un server e un call center e in un anno se ne vanno 19 miliardi di euro. Più lunga è la filiera, maggiore è l’incasso per lo Stato. Qui si sono scelti soldi maledetti ma subito, senza contabiliz­zare i costi finanziari, sociali e infine clinici di questa operazione. Passiamo all’annosa questione delle multe non pagate dai concession­ari...

Il giudizio di responsabi­lità contabile è stata una clamorosa dimostrazi­one dello scarto irrecupera­bile tra l’ampiezza del volume d’affari e la capacità regolativa dello Stato. Si è dato l’avvio a un percorso salvo poi certificar­ne l’ingovernab­ilità. E le cose non possono che peggiorare dal momento che tutto è intermedia­to dalla tecnologia, ci vuole solo un po’ più di know-how. Lo Stato ha lanciato un pessimo segnale. Anche un favore alla criminalit­à? C’è un vuoto normativo, si confonde concession­e e gestione, che a volte coincidono ma nella maggior parte dei casi il concession­ario affida stock delle quote a un soggetto giuridico diverso e lì entra in gioco la criminalit­à. Il controllo dei Monopòli è fermo al concession­ario.

Opporsi al gioco d’azzardo, o quantomeno alla sua sregolata diffusione, è una cosa di sinistra?

Se per sinistra si intende una cultura politica che si occupa degli umili e punta a diminuire le disparità sociali, allora questo dovrebbe essere un tema di elezione per la sinistra. Un po’ come nel XIX secolo. Chi erano gli alcolisti nelle zone industrial­i della Gran Bretagna, ma anche del Nord Italia? Gli operai, i minatori. Quello fu un tema di sinistra.

Le multe non pagate dai concession­ari dimostrano lo scarto enorme tra volume d’affari e controllo dello Stato

 ?? LaPresse ?? Studioso Maurizio Fiasco, presidente Associazio­ne per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportame­nti a rischio
LaPresse Studioso Maurizio Fiasco, presidente Associazio­ne per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportame­nti a rischio

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