Del berlusconismo resterà il Berlusconi che è in molti di noi
Ècertamente vero che con le sentenze non si scrive la storia. Ma chi scrive la storia non può fare a meno di tenere conto di ciò che raccontano le sentenze. Se non altro perché i verbali e i documenti prodotti dai tribunali per gli storici sono fonti primarie, al pari delle testimonianze orali, delle cronache dei giornali o di ogni altro tipo di scritto, video e memoriale. Ecco allora perché, dopo la condanna in appello di Denis Verdini a 6 anni e 10 mesi di reclusione per bancarotta fraudolenta, viene spontaneo chiedersi cosa leggeranno tra 100 anni i nostri bisnipoti nelle pagine dei libri di storia riguardanti il ventennio berlusconiano.
Se ci si limita alle sentenze e alle loro motivazioni oggi l’impressione è quella di trovarsi di fronte solo a una straordinaria epopea criminale. Silvio Berlusconi, il fondatore di Forza Italia, è un pregiudicato per frode fiscale. Come ci ha detto due giorni fa la corte di Cassazione, che si è rifiutata di assolverlo per dichiarare invece prescritto il suo reato, ha pure corrotto un senatore (Sergio De Gregorio) per ragioni politiche. Mentre era in parlamento, ha poi partecipato a una sorta di complotto teso a screditare un suo avversario ( Piero Fassino) tramite la pubblicazione di intercettazioni telefoniche non depositate e non trascritte.
Come imprenditore si è invece avvalso di un avvocato, Cesare Previti, nominato nel ‘94 ministro della Difesa, abile a comprarsi a suon di mazzette alcuni giudici di Roma titolari di cause per lui importanti, come quella per il controllo della Mondadori. Uno dei suoi maggiori collaboratori, Salvatore Sciascia, già direttore dei servizi fiscali della Fininvest, ha invece versato tangenti alla Guardia di Finanza, ma nonostante i verdetti sfavorevoli è stato nominato in parlamento.
SORTE ANALOGA,
anzi peggiore, ha quindi subito Marcello Dell’Utri, il suo storico braccio destro, ancora in carcere per fatti di mafia. Liberi, ma pregiudicati, sono invece molti ex ministri dei suoi governi. Come gli ex funzionari di Publitalia, Giancarlo Galan e Aldo Brancher. Il primo ha intascato mazzette per garantire la costruzione del Mose di Venezia (un’opera pubblica ideata per evitare l’acqua alta, ma che ancor ora nessuno può definire come effettivamente funzionante). Il secondo stato giudicato responsabile di ricettazione per aver ricevuto molti soldi dal banchiere, Giampiero Fiorani. Attenzione: l’elenco è molto più lungo. E va aggiornato di continuo (la sentenza contro Verdini ad esempio non è definitiva, come non lo è nemmeno quella in primo grado per un suo finanziamento illecito nel processo P4, mentre per un caso di concorso in corruzione in appello è scattata la prescrizione).
Resta però il quadro complessivo: francamente agghiacciante. Eppure, chi scrive, non è sicuro che tra cento anni gli storici descriveranno l’avventura politica di Berlusconi come solo delinquenziale. È verosimile anzi che alzando lo sguardo finiranno per rappresentare anche questo ventennio come l’autobiografia di una nazione. Perché le fonti storiche consultate faranno emergere un’Italia geniale e puttana. Un paese dall’illegalità diffusa, pieno di furbi e di fessi, zeppo di eccellenze, ma abituato a convivere con la violenza e con le mafie, a parole combattute e in realtà assecondate da ampi strati della popolazione e delle classi dirigenti. Per questo noi contemporanei ora che il Fondatore sembra politicamente finito continuiamo a non sentirci tranquilli: perché in fondo c’è sempre un Berlusconi dentro a milioni di noi.