Protezionismo fatto a colpi di slogan
▶IN MEDIA
dall’apertura degli scambi tutti ci guadagnano, dal protezionismo in media tutti ci perdono. Ma, appunto, “in media”. C’è chi subisce i danni e chi coglie le opportunità. Per questo il dibattito sul commercio internazionale, specie in questa epoca di nuovo unilateralismo americano a colpi di dazi, ha bisogno di chiarezza. Mentre in Italia c’è confusione. Il ministro dello Sviluppo Luigi Di Maio (M5S) dice che “sta riflettendo” sull’opportunità di proteggere i prodotti italiani con i dazi. Aiutiamo la sua riflessione: non si può, dal 2009 la politica commerciale è competenza esclusiva dell’Unione europea. Quando la Gran Bretagna ha avviato le trattative per la Brexit, non aveva più neppure i negoziatori per il commercio visto che non poteva negoziare nulla finché stava dentro l’Ue. Se Di Maio vuole mettere dazi, deve portare l’Italia fuori non solo dall’euro ma pure dal mercato unico europeo. Il protezionismo può prendere anche altre vie: sanzionare chi delocalizza serve a scoraggiare investimenti in Italia, così come considerare ogni acquisizione straniera uno scippo di italianità è un protezionismo verbale ma efficace. Non sempre sono operazioni auspicabili (vedi i casi Amundi, Bnl e Parlmalat) ma neanche sempre da censurare (ancora incerto il bilancio per Recordati).
Il ministro dell’Agricoltura leghista spiega che l’Italia bloccherà l’accordo commerciale tra Ue e Canada, anche se non sa bene spiegare perché: “Nessuno mi ha ancora convinto a ratificarlo e le spiego perché. Noi abbiamo 400 prodotti tra Dop, Igp e altre denominazioni protette, il Ceta ne prevede solo 40. Cosa dico a chi produce le altre 360? Non posso lasciare qualcuno indietro”. Aiutino: quei 40 prodotti coprono la quasi totalità delle esportazioni italiane del food di qualità in Canada. Bisogna lasciarli senza protezione perché Centinaio non ha studiato il Ceta?
Si può parlare anche di protezionismo, ma facciamolo in modo serio.