Il Fatto Quotidiano

L’orgoglio russo torna ai tempi della Cccp

RISVEGLIDI GLORIA Potenza del passato

- » LORENZO VENDEMIALE

Irussi per la Russia non avevano mai festeggiat­o così tanto. La loro nazionale è giovane, ha storia ma non un passato, come San Pietroburg­o: architettu­re e monumenti sono antichi, ma la Perestrojk­a ha trasformat­o tutto, locali, negozi, anche il pallone. I quarti di finale nel Mondiale di casa sono il miglior risultato di sempre di una nazionale che ha alle spalle appena 6 edizioni. Prima esisteva un’altra squadra, in un’altra epoca, di cui non sopravvive quasi nulla: impianti demoliti, tradizioni abbandonat­e, club rifondati. Restano solo cimeli, ricordi di un calcio diverso, più popolare e sociale, anzi, socialista.

L’Urss non è molto rimpianta, se un pizzico di nostalgia esiste è solo nei dettagli. Lo sport, ad esempio: domenica per i festeggiam­enti della vittoria con la Spagna c’erano anche magliette della vecchia Cccp. Quella era una grande squadra, che ha vinto Europeo e Olimpiadi, quarta ai Mondiali ‘ 66, mentre l’exploit odierno è un episodio, come il 3° posto a Euro 2008, in mezzo nulla. C’era una scuola che sfornava campioni, da Jascin a Blochin, e maestri della panchina come il colonnello Lobanovsky. La tradizione si è persa quando è stato smantellat­o il sistema del calcio sovietico, che manca forse più dei risultati.

Prima i giocatori non era-

no profession­isti e i club avevano la loro organizzaz­ione statale: il Cska era la squadra dell’esercito, la Lokomotiv delle ferrovie, lo Spartak del sindacato, e così via, il pallone faceva parte della vita quotidiana. “Oggi è comunque sport nazionale, ha una diffusione maggiore tra i giovani, ma allora era diverso”, spiega Eduard Lapitov, presidente dell’as so ci az ione di tifosi Russia Unites. “Ognuno si identifica­va nella propria squadra, i calciatori erano eroi ma anche persone comuni”.

San Pietroburg­o, nonostante l’egemonia moscovita sulla vecchia Vysšaja Liga, rivendica il titolo di capitale del calcio: qui fu disputata la prima partita, nel 1897 in una caserma sull’isola di Vasil’ev-

skij. Lo Zenit ha anche disegnato degli itinerari, una sorta di pellegrina­ggio del tifo, ma proprio la squadra cittadina è la prima a non essere più la stessa: un tempo come la città si chiamava Leningrado, nome che rimane nei vecchi cori della curva. Soprattutt­o non era proprietà del colosso petrolifer­o Gazprom, ma la squadra della fabbrica di acciaio, dove ha giocato il suo primo incontro ufficiale nel ’36: di quell’impianto resta solo una tribuna (inclusa tra i 100 capolavori dell’a va nguardia sovietica), ma inglobata in un magazzino, non visibile. Nell’Skk intitolato a Lenin, teatro dell’unico scudetto in epoca sovietica nell’84, non si gioca più a pallone: sarà ristruttur­ato per diventare un’arena di hockey

ultramoder­na. Lo storico Kirov Stadium è stato raso al suolo per costruire il nuovo Krestovsky, costato alla città un miliardo di sprechi, spesso mezzo vuoto. Mentre la Dinamo, la squadra più antica, è fallita tante di quelle volte da non avere più nulla a che fare con le origini.

Nella smania di voltare pagina, il pallone non ha fatto eccezione. Il Paese però aveva altre priorità e al posto del vecchio sistema non è stato costruito quasi nulla: le giovanili non producono talenti (l’ultimo Arshavin, carattere difficile, poco amato), i club finiscono in mano a potenti magnati o sull’orlo del fallimento, i tifosi non condivido-

Festa dell’impero Dopo la vittoria con la Spagna si rinverdisc­ono i fasti dell’Unione sovietica

no valori e si sono allontanat­i. “Sempliceme­nte ormai il pallone è diventato proprietà privata”, conlcude Lapitov. Adesso i Mondiali sono l’ultima follia, o speranza, per rilanciare il calcio russo, oltre che far fare bella figura a Putin. E magari il grande risultato della nazionale riavvicine­rà i tifosi, mai così fieri della Russia del pallone. Ma comunque non sarà come una volta.

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Ansa Armata russa Ragazzi allo stadio festeggian­o la vittoria contro la Spagna
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