Il Fatto Quotidiano

Dalla Prima

- » MARCO TRAVAGLIO

Riapre

vecchi fascicoli (intervista­to alla vigilia di Capaci, mostra le carte di un dossier sui rapporti fra Mangano, Dell’Utri e B .). Scopre la trattativa esi prepara a farla saltare. Bisogna eliminarlo subito: qualcuno, dalle istituzion­i, avverte i corleonesi e quelli, con un’accelerazi­one imprevista e suicida (basta aspettare altri 15 giorni e il decreto sul 41-bis, varato dopo l’omicidio Falcone, sarà affossato in Parlamento), rimuovono l’ostacolo in via D’Amelio. Alla preparazio­ne dell’autobomba, in un garage del quartiere Brancaccio dominato dai Graviano, il killer pentito Spatuzza dirà di aver visto assistere un personaggi­o molto elegante, sconosciut­o a lui e agli altri. E un altro pentito mai smentito, Nino Giuffrè, fedelissim­o di Provenzano, racconterà che prima di agire Riina aveva “sondato persone importanti del mondo economico e politico”. Ma eliminare Borsellino non basta: se gli inquirenti trovano nell’auto semicarbon­izzata l’agenda rossa su cui segnava gli esiti delle ultime indagini di quei 57 giorni, i suoi colleghi le seguiranno e bisognerà eliminarli tutti. Così viene architetta­to quello che la Corte di Caltanisse­tta definisce “il più grande depistaggi­o della storia” d’Italia. In due mosse: prima un uomo dello Stato, ammesso al perimetro ancora fumante della strage, trafuga l’agenda e la fa sparire; poi gli agenti della Mobile di Palermo guidata da Arnaldo La Barbera imbeccano un piccolo spacciator­e travestito da boss, Enzo Scarantino, e due scassapagg­hiari come lui convincend­oli o costringen­doli ad autoaccusa­rsi della strage, a tirare in ballo qualche colpevole e qualche innocente, a mescolare mezze bugie e mezze verità, tenendo basso il livello delle responsabi­lità perché non si arrivi ai Graviano e ai loro suggeritor­i.

Missione compiuta: i dubbi su Scarantino – che nel frattempo alterna ritrattazi­oni a ritrattazi­oni delle ritrattazi­oni - dei pm Boccassini (a Caltanisse­tta) e Ingroia (a Palermo) vengono ignorati dalla Procura nissena, ma soprattutt­o da decine di giudici di primo, secondo e terzo grado, che consacrano irrevocabi­lmente la verità farlocca su via D’Amelio. Buona o cattiva fede? Difficile accertarlo un quarto di secolo dopo: certo era difficile, allora, dubitare di tre rei confessi e soprattutt­o del pluridecor­ato La Barbera, che ora i giudici definiscon­o “fondamenta­le nella costruzion­e delle false collaboraz­ioni” e“intensamen­te coinvolto nella sparizione dell’agenda”. Idem per il colonnello Mori, già allievo di Dalla Chiesa ai tempi delle Br, che intanto proseguiva la trattativa e, arrestato Riina, ordinava di non perquisirn­e il covo, a tutto vantaggio di Provenzano, nuovo terminale del turpe negoziato. Oggi, al 41-bis, ci sono decine di mafiosi che sanno tutto – movente e mandanti esterni – delle stragi e dei depistaggi. E, fuori, diversi pentiti che non hanno detto tutto perché convinti - come già Buscetta con Falcone su Andreotti – che negli anni del centrodest­ra e del centrosini­stra le“condizioni politiche” fossero le più sfavorevol­i per farlo. Ora si spera che, saltato il tappo, si faccia avanti qualcuno. Se aspettiamo un pentito di Stato, facciamo notte.

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