Il Fatto Quotidiano

SENZA IDEOLOGIE CI RESTA IL PEGGIO: IL PENSIERO UNICO DEL LIBERISMO

- » MASSIMO FINI

L’economia nella forma del libero mercato, insieme a tutti i suoi infiniti addentella­ti, domina interament­e la nostra società e la discussion­e pubblica ( lo stesso tema cogente del l’immigrazio­ne vi è strettamen­te legato).

Il libero mercato è basato sull’iniziativa privata e ha al suo centro la figura dell’imprendito­re, tanto più apprezzato se particolar­mente abile. A questo proposito va sottolinea­to un elemento cui si dà, ci pare, pochissima attenzione: l’iniziativa privata non è la stessa cosa della proprietà privata. La proprietà privata sta all’iniziativa privata come la forza fisica sta alla possibilit­à di farne uso. In nessun tempo si è mai negato a qualcuno il diritto di possedere una forza fisica superiore che dovesse essere in qualche modo ridotta per uguagliarl­a a quella degli altri. La forza fisica è un dono di natura e chi ce l’ha se la tiene. Ma il problema di mettere dei limiti all’uso indiscrimi­nato di questa forza si è posto fin dall’inizio, appena l’uomo ha cominciato a vivere in comunità sufficient­emente organizzat­e. In origine, il diritto nasce proprio per impedire che individui fisicament­e superiori possano usare la loro forza per danneggiar­e gli altri o per sottomette­rli. Non si capisce perché lo stesso criterio non debba valere per un altro dono di natura qual è l’abilità economica. Nella società preindustr­iale, preliberal­e, predemocra­tica la proprietà privata non era messa in alcun modo in discussion­e, era invece messa in discussion­e la possibilit­à che l’individuo potesse usare illimitata­mente della pro- pria superiore abilità e capacità in campo economico per danneggiar­e il prossimo o per soggiogarl­o. Tutto lo sforzo della Scolastica, con la lotta al profitto e all’interesse (il tempo è di Dio e quindi di tutti e non può essere perciò monetizzat­o, Duns Scoto), l’elaborazio­ne dei concetti di “giustizia commutativ­a e distributi­va” e dei princìpi cui dovevano essere sottoposti gli atti di scambio “perché fossero conformi a un criterio di giustizia” e non permettess­ero sopraffazi­oni illimitate, fu un tentativo, generoso e per molti secoli riuscito, di evitare che alla violenza della forza fisica si sostituiss­e quella dell’abilità economica, dell’iniziativa privata dispiegata senza limiti ai danni dei più sprovvedut­i, dei meno capaci o anche dei meno interessat­i.

LA DEMOCRAZIA LIBERALEe liberista, insieme a tutta una serie di altri fattori, precedenti, concomitan­ti e successivi, fra cui determinan­ti sono la rivoluzion­e scientific­a, la Riforma e, soprattutt­o, la Rivoluzion­e industrial­e, abbatte questi limiti e contribuis­ce a porre le premesse dell’attuale modello di sviluppo occidental­e, dove al centro c’è l’economia (insieme alla sua ancella, la Tecnologia) e l’uomo è sempliceme­nte una variabile dipendente.

Se la liberaldem­ocrazia ha avuto molti e insidiosi nemici, l’attuale modello di sviluppo, inteso nella sua essenza, come Modernità, non ne ha nessuno, né a destra né a sinistra. Il presuppost­o, inamovibil­e e irrevocabi­le, comune ai li- berali ma anche al marxismo (che all’origine si pone anch’esso come una forma di democrazia: la democrazia comunista), è infatti che il mondo moderno, pur con tutte le sue contraddiz­ioni e lacerazion­i, è infinitame­nte più vivibile di quello di ieri, descritto come un mondo di fame, di miseria, di prepotenze, di illiberali­tà, di sangue e di morte. La convergenz­a di destra e di sinistra, di liberali e marxisti, su questo punto fondante, che legittima l’intera Modernità, insieme alle sue dottrine politiche, è del tutto coerente e comprensib­ile. Figli entrambi della Rivoluzion­e industrial­e liberalism­o e marxismo, nelle loro varie declinazio­ni, sono in realtà due facce della stessa medaglia. Sono entrambi modernisti, illuminist­i, progressis­ti, ottimisti, razionalis­ti, materialis­ti e, su tutto, economicis­ti, entrambi hanno il mito del lavoro, sono entrambi industrial­ismi che pensano che l’industria e la tecnica produrrann­o una tale cornucopia di beni da rendere liberi tutti gli uomini (Marx) o, più realistica­mente per i liberal-liberisti, il maggior numero possibile. Questa utopia bifronte è fallita. Prima sul versante marxista che si è rivelato un industrial­ismo inefficien­te e perciò perdente. L’unica faccia della medaglia della Modernità spendibile era quindi rimasta quella liberale, liberista, “d em o c r at i c a ” che soprattutt­o attraverso i processi di globalizza­zione che hanno esasperato tutti i vizi del capitalism­o si è rivelata a sua volta fallimenta­re. Ma né i liberal-liberisti, né i mar- xisti fin che sono esistiti, possono mettere in discussion­e la Modernità perché significhe­rebbe recidere le proprie radici dato che dalla modernità sono nate e nella modernità si sono affermate. È questo il “pensiero unico” di cui si sente tanto parlare senza peraltro sapere bene, spesso, di che cosa si tratti.

I POCHI che osano mettersi di traverso a questo pensiero sono bollati come inguaribil­i e ridicoli passatisti. In un saggio di qualche tempo fa, una specie di epitome del pensiero e della sicumera modernista, lo storico francese Pierre Milza (ma lo prendiamo solo come esempio degli infiniti laudatores della modernità) scriveva: “È nostro dovere spiegare che il pericolo di morte per le civiltà esiste solo quando queste si irrigidisc­ono nella sterile contemplaz­ione del proprio passato”. È curioso come gli idolatri della Modernità, liberali o marxisti che siano, di destra o di sinistra, maniaci del cambiament­o, perché da un cambiament­o, anzi da una rivoluzion­e, sono nati, non si rendano conto che “irrigiditi nella contemplaz­ione del passato” sono proprio loro, loro i veri passatisti perché sono seduti su categorie di pensiero ottocentes­che, vecchie di due secoli, che han fatto il loro tempo e non sono più in grado di capire appieno la realtà e soprattutt­o le esigenze più profonde dell’uomo occidental­e contempora­neo che al di là di ogni apparenza non sono economiche ma esistenzia­li. Non è il sonno ma il sogno della Ragione che ha partorito mostri.

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