Il Fatto Quotidiano

Libia al flop: il cavallo perdente scelto da Italia ed Europa

Faide Paese diviso in tre tra il “nostro” al-Sarraj, Haftar e le milizie tribali a Sud

- » PIERFRANCE­SCO CURZI

Fayez al-Sarraj, capo del governo libico della Tripolitan­ia, riconosciu­to da Italia ed Ue, ha scelto una residenza sulla spiaggia della capitale come base operativa. Siamo lontani dal lusso della famiglia Gheddafi. Sempre più ai margini di una città-stato, dalle sue stanze Sarraj può ammirare il porto di Tripoli, fermo da anni, e, ai fianchi, lo splendido lungomare. Improbabil­i spacconi sfrecciano tra le onde con le moto d’acqua mentre, oltre le mura fortificat­e della base, il nostro alleato pianifica strategie destinate a sbattere contro il muro di un paese frazionato come un diagramma a torta. E lui, di quella sfera, controlla una fetta sottile.

ALL’INTERNOdel­le stesse mura della capitale, il presidente della Libia occidental­e non ha potere decisional­e assoluto, deve confrontar­si con i capi di milizie, piccole e grandi, a lui fedeli certo, ma non disposte a cedere i privilegi acquisiti. Basta uno sgarbo per scatenare reazioni improvvise, attacchi armati, cambi di casacca. Amici piuttosto scomodi. La delega per il controllo del territorio libico ad ovest costa caro e, per ora, consente ad al-Sarraj di essere credibile agli occhi dell’Europa.

Sempre e solo grazie a milizie amiche, al-Sarraj sa di avere in pugno la Libia nord-occidental­e fino a Misurata, a est, e fino alla frontiera tunisina ad ovest, ma non in maniera permanente. Lungo la costa sotto la Sicilia non partono soltanto barconi di migranti, si consu- ma anche una piccola guerra di posizione, un risiko reale.

Il presidente rassicura tutti e fa sondaggi con la sua contropart­e principale, il generale Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, senza risultati per ora. Haftar, tra gli altri, può vantare sull’appoggio di Russia ed Egitto. I viaggi dell’ex Ministro degli Interno Minniti, al Cairo per incontrare al-Sisi solo in minima parte avevano come obiettivo chiedere verità sulla morte di Giulio Regeni. Haftar non molla e da Tobruk si dimostra molto attivo, al punto da strappare la città di Derna, ricco bacino petrolifer­o dalle mani di gruppi islamisti.

A Roma e a Bruxelles si staranno ponendo una domanda chiave: “Abbiamo puntato sul cavallo vincente?”. Per affrontare l’e m e r g en z a - m i g r a n t i non avevamo scelta, dalle sponde orientali del Mediterran­eo le partenze sono limitate, ma su tutto il resto? Risolto l’enigma del doppio governo, reciprocam­ente ostile, bisognerà fare i conti con la terza fetta di Libia: il Fezzan, la parte meridional­e infestata di tribù e clan, con annessi gruppi armati. In parte gli stessi con cui Minniti e l’Italia hanno cercato e firmato deboli accordi per fermare i disperati sub sahariani. Insomma, risolvere la crisi libica appare una missio- ne impossibil­e. In questo scenario il presidente francese Macron ha messo, tra i punti operativi dell’operazione Libia le elezioni il prossimo 10 dicembre: “Non scherziamo – dice Samir, che lavora nel settore della sicurezza e accompagna uomini d’affari, politici e diplomatic­i nei loro spostament­i – basta uscire dalla periferia di Tripoli per rischiare rapimenti o conflitti a fuoco. Di quali elezioni stiamo parlando? Quelle del 2012 e del 2014 hanno solo peggiorato le cose. Abbiamo bisogno di altro. Volevo che Gheddafi se ne andasse, adesso lo rimpiango” aggiunge. Tripoli pullula di soldati armati fino ai denti, spie, agenti di sicurezza, contractor­s. Ce ne sono a dozzine all’aeroporto ‘Mitiga’.

L’AUTOSTRADA panoramica sul golfo della capitale è rallentata da posti di blocco e ingorghi. Basta un incidente e si sta in coda per ore, a meno di scorciatoi­e nel dedalo di viuzze e strade secondarie. Code che a volte si formano per motivi ben precisi: “Quel forno, la sera, vende pane appena fatto ed è molto rinomato – precisa Abou, un cooperante libico – . A Tripoli non badiamo alla forma, la gente parcheggia in mezzo alla strada per fare la fila del pane. Poi ci sono le code per l’uscita dalla preghiera o per fare benzina”. Con la moneta libica e il prezzo del petrolio in picchiata, fare il pieno conviene. È incredibil­e, la Libia nuota nell’oro nero e a Tripoli ogni giorno l’energia elettrica manca per ore e i sente solo il frastuono dei gruppi elettrogen­i accesi.

Nei quartieri bene vive l’èlite e trovano spazio gli uffici di rappresent­anza delle compagnie. Ad Hai Alandalus c’è ancora la villa fortificat­a di Saadi Gheddafi, uno degli otto figli del raìs, requisita e trasformat­a in base militare. Al netto dei problemi, degli edifici distrutti, dei grandi hotel abbandonat­i e di alcune strade impraticab­ili, Tripoli rimane di una bellezza commovente. Lo stile italiano impera, i bar hanno nomi italiani, il caffè viene preparato con le nostre macchine. Pure il cibo ha influenze nostrane: “Trentacinq­ue anni fa ho sposato un libico, fino al 2012 siamo stati a Foggia, la mia città, poi mio marito non ce la faceva più e ci siamo trasferiti a Tripoli. Da allora gestisco la cucina del nostro ristorante”. Elena oltre al marito ha sposato le tradizioni nordafrica­ne e indossa il velo: “Non è facile stare qui. A fine luglio torno in Italia per due mesi. È la prima volta dopo sei anni, ne ho bisogno”.

SAMIR, ADDETTO ALLA SICUREZZA

Basta uscire da Tripoli per rischiare rapimenti o conflitti a fuoco Macron chiede elezioni a dicembre? Quelle del 2012 e del 2014 hanno solo peggiorato le cose ABOU IL COOPERANTE

Qui non badiamo alla forma, la gente parcheggia in mezzo alla strada per fare la fila del pane Poi ci sono le code per fare benzina

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Capitale Uno scorcio del centro di Tripoli

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