Il Fatto Quotidiano

Macché aboliti: ancora 50 milioni pubblici ogni anno per i giornali

Il sistema dei finanziame­nti dopo l’annuncio del neo sottosegre­tario all’Editoria

- VDS

Vito Crimi è il sottosegre­tario, in quota Cinque Stelle, all’editoria. In una intervista, ha rilanciato l’intenzione di rivedere il sistema dei contributi all’editoria in Italia: diretti, indiretti e anche quelli che arrivano ai giornali grazie all’obbligo di pubblicazi­one dei bandi di gara. Ieri, il direttore di Repubblica, Mario Calabresi, ha sottolinea­to come i maggiori giornali d’Italia non ricevano contributi diretti e ha rilevato che togliere l’obbligo degli avvisi potrebbe essere un colpo alla trasparenz­a. Ma come funzionano questi finanziame­nti e come cambierann­o?

FONDI DIRETTI. Sul sito del Dipartimen­to per l’informazio­ne e l’editoria ci sono alcuni dati, come la rata di anticipo del contributo per il 2017, che ha consentito di erogare il 42,05% del contributo de ll’anno prima. In tutto, circa 50 milioni di euro. Tra i maggiori beneficiar­i del fondo diretto – escludendo quindi i contributi per le realtà non profit –, ci sono Avvenire con (2,5 milioni di euro) Italia Oggi (2 milioni), Libero

(2,2 milioni) , il manifesto (1,3 milioni). Gli altri sono soprattutt­o realtà locali: 889 mila euro al Corriere Romagna, 882 mila a Cronacaqui.it , circa 700 mila a il cittadino, almeno 440 mila al Quotidiano di Sicilia, 600mila per il Dolomiten . Infine, 337 mila per Il Foglio. Il totale fa circa 21 milioni di euro.

A CHI? L’anno scorso sono state approvate le nuove regole per la distribuzi­one dei contributi, dati in parte come rimborso di costi e in parte in base al numero di copie vendute. Sette le categorie dei destinatar­i, tra cui cooperativ­e giornalist­iche, imprese editrici il cui capitale è detenuto in maggioranz­a o totalmente da enti senza fini di lucro, giornali di minoranze linguistic­he o per non vedenti. Di conseguenz­a, gran parte dei principali quotidiani nazionali (salvo Libero, manifesto, Foglio e Avvenire) non vi rientrano. INDIRETTI. Crimi parla di agevolazio­ni indirette. Dal tax credit sulla carta, che ormai non c’è più, all’iva agevolata (i giornali pagano il 4 per cento e solo sul 20 per cento della tiratura), passando per i rimborsi telefonici e agevolazio­ni sui costi delle spedizioni postali. Numeri di cui, però, non si tiene alcun conto ufficiale.

I BANDI. In Italia c’è l’obbligo di pubblicare i bandi o le aggiudicaz­ioni oltre una certa cifra sui quotidiani. Annunci che secondo alcune stime valgono circa 40 milioni di euro. La scelta del quotidiano destinatar­io dell’annuncio è, però, discrezion­ale così come il costo che è a carico delle aziende. La richiesta arriva di solito o dalle aziende stesse o dalle agenzie che si occupano di questo tipo di annunci. Il prezzo dipende dalla grandezza dell’annuncio ( dai “moduli” che occu- pa”) ed è fisso, diversamen­te da quello della pubblicità commercial­e, per la quale si può trattare o stringere accordi. Ogni quotidiano applica il suo prezzo ed è legato al numero di copie che vende. Ecco perché è complicato capire a quanto ammonti il totale.

PUBBLICITÀ. Il decreto dell’ anno scorso, invece, ha introdotto - per la pubblicità commercial­e - un’ agevolazio­ne fiscale che consiste in un credito d’imposta al 75% sugli investimen­ti incrementa­li almeno dell’1% rispetto all’anno precedente sullo stesso mezzo d’informazio­ne.

FNSI. “Si annuncia - ha detto Raffaele Lorusso, segretario generale del sindacato dei giornalist­i - l’abolizione di contributi alla stampa che non esistono più da anni, a meno che non si vogliano cancellare gli aiuti economici riconosciu­ti a stampa non profit, coope- rative, stampa diocesana, altra gamba del pluralismo dell’informazio­ne di questo Paese. In questo caso, si assume la responsabi­lità di cancellare un migliaio di posti di lavoro”.

LE INTENZIONI. “Per quanto riguarda i bandi - spiega Crimi - si tratta di sottrarre le imprese a un obbligo che si rifà a un sistema di diffusione non più utilizzato, mentre per quanto riguarda il finanziame­nto diretto, l’idea è iniziare a finanziare il sistema editoriale e smettere di agevolare i singoli editori che magari fanno anche dividendi tra i soci”. E il pluralismo? “Vanno tutelati i piccoli giornali, le realtà rappresent­ative delle comunità che altrimenti non potrebbero rimanere in piedi. Soprattutt­o là dove non arrivano i quotidiani nazionali”. E i finanziame­nti diretti? “Co nfermati ma salvaguard­ando l’informazio­ne sana e rappresent­ativa delle realtà locali con la correzione delle storture, ovvero i fondi a tutti quei giornali nazionali che non rientrano nelle categorie che ho appena descritto”.

La replica

“Via l’obbligo dei bandi e contributi diretti solo ai locali”. No a “Foglio”, “Libero” e “Avvenire”

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